Giovane o big: l’equivoco che stritola Schick

Giovane o big: l’equivoco che stritola Schick

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La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Intorno al nome di Patrik Schick non sono finiti solo i giochi di parole. Sono finite proprio le parole, la situazione è ormai cristallizzata. E non si capisce, sic stantibus rebus, cosa mai potrebbe cambiarla da qui alla fine della stagione. Perché la Roma non è un gruppo di lavoro alla ricerca disperata di soluzioni: Eusebio Di Francesco ha brillantemente superato il periodo negativo, ora la squadra vola che è un piacere, la marcia da sette partite a questa parte è da scudetto – solo la Juve ha fatto meglio, un punto in più – e la Champions regala l’adrenalina di una sfida al Barcellona. E allora, come pensare che Schick possa in primavera ribaltare una gerarchia che – Crotone ne è la prova – ora lo vede in fondo che più in fondo non si può?

RISERVA – Dice Di Francesco in maniera tremendamente cruda che «io devo pensare ad allenare la Roma, non i giocatori. Schick non è un attaccante, mica posso schierarlo centrale difensivo con la scusa del turnover. Arriva dalla Samp, sta lavorando per rendersi importante, ma non posso ragionare individualmente per far contento qualcuno». Di là c’è la voce della società, che ha investito 42 milioni di euro (sarà pure un pagamento a rate, ma sempre quella è la valutazione) e per bocca dell’a.d. Umberto Gandini ribadisce: «Noi ci puntiamo tantissimo, per il presente e per il futuro». Eccolo qui, il grande equivoco. Di Francesco ha sempre considerato Schick un prospetto da crescere, la società l’ha sempre ritenuto in grado di incidere – almeno in parte – fin da subito, i tifosi poi l’hanno accolto come un campione in virtù della valutazione più alta mai fatta per un acquisto nella storia della Roma. La verità è che l’esperimento da esterno destro nel tridente è fallito. Schick è la semplice riserva di uno Dzeko (a ragione) intoccabile. E se sia più corretto leggerne il rendimento con le poche opportunità avute o attraverso la scarsa capacità di convincere l’allenatore è come decidere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Di certo ci sono i numeri: solo 5 partite da titolare in campionato (6 stagionali), zero minuti in Champions, 636’ complessivi. Un anno fa di gare dall’inizio con la Samp ne mise insieme 15, per 1653’ totali. Se processo di crescita doveva essere, processo di crescita non è stato. E in prospettiva futura sarà necessario fare ragionamenti profondi.

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