Io e la Roma: “Ricordi straordinari. Allenarla? Magari”

Io e la Roma: “Ricordi straordinari. Allenarla? Magari”

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GAZZETTA DELLO SPORT (G. Calvi) – Ricordi ed emozioni, per una sfida che va dritta al cuore. Eusebio Di Francesco, quando entrerà all’Olimpico, per la prima volta da allenatore avversario della Roma, a quale sua partita con la Magica penserà?

«A parte la giornata dello scudetto, nell’incontro col Parma, dov’ero in panchina, l’emozione più grande è legata al derby pareggiato per 3-3, nel quale segnai un gol importante. Perdevamo 3-1 e, su lancio di Totti da sinistra, anticipo Nedved e di controbalzo, di destro, batto Marchegiani. Quella rete ci lanciò verso la rimonta. La Roma mi ha dato tanto. Peccato per quei due infortuni che mi hanno impedito di giocare con continuità».

Quale sarebbe la sua Roma ideale, il cocktail perfetto creato con i compagni avuti nelle sue quattro stagioni? «In panchina, metto Zeman e giochiamo col 4-3-3. In porta Antonioli, in difesa Cafu, Aldair, Samuel e Candela, a centrocampo Tommasi, Di Biagio ed Emerson e in attacco Delvecchio, Batistuta e Totti, con Montella pronto a entrare. Mamma mia, che squadrone!».

Il compagno più forte che ha avuto? «Totti, da sempre il valore aggiunto. Sono fiero di avere ancora un rapporto straordinario con Francesco. A Natale, ogni anno, ci scambiamo i regali: sono legato soprattutto al dono della cornice con dedica sulla sua foto. Intanto, se Totti mi facesse il regalo di non giocare contro il Lecce…».

Speranza vana, il capitano dovrebbe giocare. Chi altro eviterebbe? «De Rossi, che ai miei tempi aveva solo 16 anni e già stupiva tutti, nel nostro gruppo. Daniele sa dettare i tempi, è il riferimento per la squadra, a seconda dei momenti della gara propone il passaggio lungo o corto. Ma stimo tanto anche Lamela. Mi ha sorpreso, perché abbina alla qualità anche notevole quantità. Lo hanno fatto ambientare, inserendolo gradualmente, poi si è imposto con numeri straordinari per un giovane».

Come per Lamela, anche lei ha atteso il gioiellino Muriel. «Pure lui ha talento. Con i ragazzi non bisogna avere fretta, è giusto aspettarli e, talvolta, si finisce per pagare anche dazio per i loro errori, come è capitato a Cesena con l’espulsione di Muriel».

La Roma di Luis Enrique è già un mezzo fallimento? «Non sarei così severo. Bisogna dare tempo al tecnico spagnolo, che ha portato davvero un rivoluzione sul piano del gioco. Predilige la manovra palla a terra, come piace a me. Ci può stare l’attuale classifica, anche perché non credo che la Roma, per quest’anno, riesca a lottare per un posto in Champions League».

Presenta ai romanisti il suo modello di calcio, citando cinque allenatori che hanno lasciato traccia nella sua carriera? «Sarebbe eccezionale se potessi creare un mix tra la capacità di Novellino nel preparare la gara, l’abilità di Fascetti e Cagni nella gestione del gruppo, la saggezza di Capello nel leggere la partita in corso d’opera e la vocazione offensiva di Zeman, unico anche per le sue idee. Così, però, nascerebbe un allenatore da fantacalcio».

Come affronterà la Roma? «Dovremo usare la testa. Sul piano dei valori, non ci sarebbe confronto. Non possiamo attendere troppo un avversario che, gestendo il pallone, imporrebbe i suoi ritmi, con incursioni degli esterni. Pressare e ripartire, il Lecce poggerà su questa base; solo con questi obiettivi, sarebbe giustificato lasciare sfogare la Roma. E non daremo riferimenti precisi».

Lanciano, poi Pescara, ora l’esordio in A col Lecce. Tra i suoi sogni, c’è anche la panchina della Roma? «Sono ambizioso. È giusto porsi anche traguardi che sembrano irraggiungibili. Certo, mi esalterei se potessi allenare la Roma. Ma mi tengo stretto il mio Lecce, insieme possiamo crescere tanto».

Disponendo di tre biglietti, può invitare tre personaggi che hanno segnato la sua vita calcistica. Chi sceglierebbe? «Porterei all’Olimpico Zeman, facendolo sedere tra la signora Maria Sensi e Damiano Tommasi. Col boemo cominciai l’esperienza alla Roma, dove mi portò Giorgio Perinetti. Alla famiglia Sensi devo tantissimo, anche perché Rosella, con Pradè e Totti, mi riportarono poi come team-manager. Tommasi resta un simbolo di correttezza, oltre che un amico, alla pari con i compagni di camera preferiti, Montella e Chimenti».


 

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