L’amore è ancora Dzeko

L’amore è ancora Dzeko

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IL MESSAGGERO (S. CARINA) – Si riparte da Dzeko. Senza di lui, non era ancora vera Roma. Rivederlo ieri, sorridente e riposato (ha trascorso le vacanze in Giappone e a Dubai) svolgere – anticipando di un giorno – le visite mediche a Villa Stuart (dove ha conosciuto l’ultimo arrivato, il brasiliano Fuzato) e poi andare a Trigoria per salutare vecchi e nuovi compagni, ha regalato la sensazione che la nuova stagione può realmente partire. In silenzio Edin è entrato nei cuori dei tifosi della Roma. E in quello di Di Francesco che a lui non rinuncia mai. Basta dare un’occhiata ai numeri: 3019 minuti in campionato, 36 presenze (di cui 33 dal primo minuto); 1078 minuti in Champions con l’en-plein di 12 gare su 12 dal via. E se non bastano, riavvolgere il nastro della scorsa stagione. Eusebio non lo ha mai messo in discussione, nemmeno quando si lamentava a settembre «per essere troppo solo» o quando a gennaio, con le valige pronte e in fase involutiva, non inquadrava la porta avversaria. «Edin è al centro del mio progetto, è stato sempre titolare e mai in panchina. Questo vi fa capire l’importanza che ha per me. E finché lo avrò a disposizione, giocherà». Parole importanti, spese in un momento a dir poco delicato che il centravanti non ha dimenticato.

LA METAMORFOSI – È chiaro che l’Edin di Spalletti, quello capace di segnare 39 reti in una stagione rubava più l’occhio. Con il tecnico abruzzese (con il quale ha comunque segnato 16 gol in campionato e 8 in Champions) ha però avuto una metamorfosi che probabilmente nemmeno lui, a 32 anni, si aspettava più di poter vivere, nonostante le valanghe di gol segnate in carriera (unico attaccante in circolazione ad aver segnato almeno 50 reti in tre di cinque migliori campionati europei: Bundesliga, Premier e Serie A) e i successi in bacheca. Dzeko da gennaio in poi, s’è trasformato in uomo-squadra, il calciatore capace di prendere per mano il gruppo in difficoltà e risolvere i problemi. L’ultima Champions ne è l’emblema: la doppietta di Londra, l’aver contribuito al 2-1 col Qarabag ma soprattutto il filotto con ShakhtarBarcellona e Liverpool che avrebbe meritato un epilogo diverso. Un giocatore nuovo, diverso, paradossalmente più completo, a disposizione quasi totale dei compagni e con una dote che in carriera aveva faticato a far emergere: il carattere.

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