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Le ambizioni dell’Emiro, la tattica del fondo Qatar, lo schema Paris Saint Germain e la partita della Roma

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MILANO FINANZA (V. BELTRANI) – La trattativa per la cessione di una squadra di calcio è notizia, soprattutto in Italia, che muove cuore e anima di migliaia di tifosi. Nulla di cui stupirsi quindi che l’indiscrezione, anticipata da MF-Milano Finanza, del possibile passaggio della AS Roma dalle mani del presidente americano James Pallotta a quelle finanziariamente robuste della Qatar Sport Investment abbia monopolizzato su di sé l’attenzione di media e tifosi, relegando in secondo piano il vero significato di questa indiscrezione. Ovvero che il potente Fondo Sovrano del più piccolo stato del Golfo Persico, il QIA (Qatar Investment Authority), forte di un fatturato di circa 335 miliardi nonché di un patrimonio in gestione di 1 trilione di dollari, è tornato prepotentemente sulla scena finanziaria nel suo ruolo naturale di buyer, dopo una fase di transizione generata dalla chiusura delle frontiere attuata dai suoi vicini arabi.

Nel caso della trattativa per il passaggio di mano della Magica, a nulla è servita l’ennesima smentita di Pallotta alle indiscrezioni rilanciate nella giornata di mercoledì dal quotidiano francese Le Parisien. La squadra sportiva della capitale viene indicata, dopo il Paris Saint Germain, quale prossima preda nel mondo del calcio del potente braccio finanziario qatarino, da anni del resto presente nella penisola con investimenti di peso concentrati principalmente nel settore del real estate e del lusso. A solo titolo d’esempio fanno parte di una lunga lista di trofei italiani l’acquisizione nel 2012 dal finanziere statunitense Tom Barrack della Smeralda Holding, proprietaria dei terreni e infrastrutture della Costa Smeralda (ora però è stata incaricata Goldman Sachs di valutare gli asset in vista di una possibile cessione), la Maison del lusso Valentino pagata all’epoca 700 milioni di euro, il complesso di Porta Nuova a Milano e il 40% della stessa Coima Res, l’immobiliare quotata in borsa e guidata da Manfredi Catella.

Non manca quindi chi scommette, nella comunità finanziaria, sul fatto che le attenzioni per la blasonata squadra di calcio della capitale, al di la dalle possibilità reali di successo dell’operazione di compravendita, sia un’interessante segnale della volontà del Qatar di investire ulteriormente in Italia, allungando la lista delle sue partecipazioni. Tralasciando i segnali politico-diplomatici d’avvicinamento tra l’Italia e il piccolo emirato, sanciti dalla visita del capo del governo Giuseppe Conte in Qatar e l’incontro con l’emiro Tamin bin Hamad Al Thani con le prammatiche dichiarazioni sulla volontà d’incremento dei rapporti commerciali tra i due paesi, la scommessa del mercato su una prossima ripartenza della campagna acquisti parte da alcune incontrovertibili considerazioni di natura geopolitica. Prima fra tutte il fatto che il durissimo embargo economico-commerciale lanciato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto nel 2017 con la chiusura delle frontiere a viaggi e commerci, ha finito paradossalmente per accelerare riforme economiche e investimenti nel piccolo e ricchissimo emirato, già pronto a ospitare i mondiali di calcio nel 2022.

Dopo la chiusura delle frontiere, ad esempio, il Qatar ha deciso di aprire l’intero settore del RealEstate agli  investitori esteri non più confinati nelle apposite zone speciali dove era loro concesso di operare. E, sotto un profilo più squisitamente finanziario, la crisi diplomatica con i potenti vicini ha segnato anche un cambiamento di passo nel tono e nei modi utilizzato dalle autorità qatarine per difendere i propri interessi sui mercati. Basti pensare alle due cause che il Qatar ha aperto contemporaneamente presso i tribunali di Londra e New York contro un analista e tre banche, tra le quali la  First Abu Dhabi Bank  e la Saudi Arabia’s  Samba Bank, accusandole di aver manipolato  nel pieno della crisi del  2017 il valore della moneta nazionale e il corso  del mercato obbligazionario.  Propedeutico a un rinnovato attivismo sui mercati è stata letta anche la generosa emissione di bond con la quale a marzo  di quest’anno il Qatar ha raccolto 12 miliardi di dollari con emissioni a cinque,  dodici e trent’anni e richieste complessive sui libri per 50 miliardi. Mossa che segue una emissione dello stesso importo effettuata nel 2018 e che ha permesso al Qatar  di raccogliere risorse fresche da destinare a investimenti domestici ed esteri.

Dove andranno? Difficile dirlo. Ma l’indizio della Roma non deve trarre in inganno. Se RealEstate e lusso continueranno a essere i settori prediletti per convogliare le risorse del QIA, non è detto che le turbolenze geopolitiche del momento impongano all’emiro Al Thani delle scelte più strategiche. D’altronde più di un osservatore si aspetta che la metrica della diplomazia finanziaria con la quale da sempre si manifesta la politica estera del Qatar possa subire dei mutamenti, sebbene non traumatici, nel prossimo futuro. Un piccolo antipasto si è avuto pochi giorni or sono con la decisione del fondo sovrano qatarino di collaborare con il gruppo statunitense Crown per acquisire alcune tra i trophy asset più prestigiosi di NY, a Times Square e lungo la Fifth Avenue. A prima vista nulla di nuovo rispetto alla tradizionale politica d’investimenti del Fondo. Eppure, se guardato in filigrana, la nuova acquisizione in terra Usa presenta elementi di sottile sensibilità diplomatica se è vero, come del resto sottolineato da FT, che ogni acquisizione immobiliare negli Stati Uniti da parte di QIA è soggetto a uno scrutinio attento per il ruolo di sostegno che il fondo sovrano ha fornito in passato a Jared Kushner, genero di Donald Trump.

In un’ottica d’investimenti a maggior valenza strategica e di potere, l’Italia si presenta indubbiamente come uno scacchiere ideale sul quale condurre la propria partita. Partite delicate investono in questo momento sia il settore bancario che quello del risparmio gestito. Nel primo, a QIA non manca expertise, viste le partecipazioni detenute negli anni in colossi del calibro di Barclays e Credit Swisse. Nel secondo, l’ingresso di eventuali investitori istituzionali con un’ottica di stabilizzazione a lungo periodo della governance azionaria non è mal visto dal mercato, dato l’alto numero di player presenti con esigue masse gestite e l’inevitabile processo di consolidamento dei prossimi anni.  Ben sapendo che in Italia, così come anche in Europa, sedere nei board delle grandi banche in qualità di azionisti di lungo periodo è un viatico per garantirsi stabili e durature relazioni diplomatiche e commerciali.

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