Le sabbie mobili della Roma

Le sabbie mobili della Roma

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EDITORIALE CGRMaggio 2017: 87 punti. Maggio 2018: 77 punti. Maggio 2019: 66/68 punti (forse). Basterebbe questo raffronto numerico, delle classifiche finali della Roma nell’ultimo triennio, per certificare il ridimensionamento in termini di risultati ed ambizioni prodotto dal club giallorosso. Una fotografia amara, sbiadita e tendente all’anonimato, come anonima è stata la prestazione della Roma ieri a Marassi, contro una squadra scarsa, pericolante che nel finale ha pescato due jolly salvezza, giocandone bene uno (gol di Romero), sprecandone un altro (rigore di Sanabria).

Una stagione iniziata male in estate, nonostante i propositi positivi di tutte le componenti giallorosse, con cessioni dolorose a lungo rimpiante, non solo fuori, ma colpevolmente dentro le mura di Trigoria. Una serie di acquisti che non si sono rivelati azzeccati, per colpe dei singoli, per la cattiva gestione di Di Francesco, per l’incapacità del ‘gruppo storico di assorbire i nuovi’ (Ranieri dixit) mentre si continuava a piangere sul capezzale dei vecchi appena partiti. Una società assente, aleatoria, con un proprietario a Boston capace solo di lanciare strali verbali contro i suoi dipendenti nei momenti più delicati e che non ha mai avvertito il bisogno di salire sul suo jet privato e raggiungere in poche ore la capitale, per capire da vicino cosa stesse accadendo. La ‘fuga’ o la ‘cacciata’ di Monchi – spettro del deus ex machina sevillista – poi l’inevitabile esonero di Di Francesco (ex semifinalista di Champions) su cui pesano responsabilità gravi soprattutto legate alla gestione fisica di un gruppo, giunto ieri quasi alla soglia dei 50 infortuni muscolari.

In ultimo l’arrivo di Ranieri, con il richiamo del cuore e dell’orgoglio romanista, il cui effetto però è apparso relativo: più un ‘tamponatore’ che un ‘restauratore’ vista la media punti del tecnico testaccino: 1.69, identica a quella raccolta fino al suo arrivo da Di Francesco (44 punti in 26 partite, 1,69). Il cambio di marcia non c’è mai stato veramente, visti gli errori commessi dai calciatori dalla Roma anche ieri, con un atteggiamento più compatto e un pressing di fatto abolito: 7 punti persi nei minuti di recupero e potevano essere 8 se Sanabria non avesse calciato addosso a Mirante il rigore finale. “Ci restano 4 finali” il refrain espresso a più riprese da diversi tesserati giallorossi alla vigilia del match contro il Genoa, ma l’atteggiamento in campo è stato a tratti imbarazzante: zero voglia, zero cattiveria, zero capacità di gestire e comprendere i diversi momenti della partita. 

C’è qualcuno che sostiene: “dal fondo del baratro si può solo risalire”. Il problema è che oggi non si sa a chi aggrapparsi. Non si comprende quale sia il progetto di questa proprietà, su cui peserà l’esclusione dalla Champions in termini finanziari e quindi, di riflesso, in chiave investimenti futuri. Non si conosce ancora il nome del nuovo direttore sportivo (4° in 8 stagioni) a maggio, con un probabile e inevitabile rallentamento di tutta la macchina operativa legata al calciomercato estivo. Massara che appare e scompare, anche lui in attesa di conoscere il suo futuro. Si attende la risposta di Conte, che nel frattempo ha cambiato le sue utenze telefoniche e si è chiuso in un silenzio riflessivo (per qualcuno d’attesa in vista delle decisioni finali di Andrea Agnelli a Torino, sponda bianconera). Che ruolo sta avendo e soprattutto avrà Francesco Totti nella ricostruzione? Se dovesse saltare l’ipotesi Conte – unica speranza di accorciare i tempi della rifondazione – quale allenatore sarà scelto per ripartire? La situazione Stadio sullo sfondo impantanata nelle more di una partita politica dall’esito assolutamente incerto. Un quadro disarmante, che vede i tifosi della Roma, unica parte lesa di questa triste storia, attendere come anime in pena immerse in questo dantesco limbo, da cui non sembra esserci via d’uscita…

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