L’unica via

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EDITORIALE CGR – Premessa: nessuno, anche i più pessimisti, anche coloro che non hanno mai creduto nella proprietà americana (e che magari un anno fa di questi tempi si facevano il bagno a piazza del Popolo con James Pallotta) poteva immaginare, supporre, affermare con certezza assoluta che la Roma oggi, fuori da tutte le competizioni, avrebbe rischiato di piazzarsi tra l’ottavo e il decimo posto in classifica. La sconfitta umiliante subita all’Olimpico dal Napoli, sceso in campo senza neanche eccessive velleità di vittoria e con fare vacanziero, ha rigettato la Roma nelle more di una classifica inverosimile, vergognosa e impensabile 11 mesi fa.

PER COLPA DI CHI – Il refrain musicale di Zucchero riecheggia nelle radio, sui social, nei bar capitolini: obiettivi da abbattere, ex da rimpiangere, maledizioni e insulti sferzanti che si susseguono di post in post, di affermazione in affermazione. Ma la speranza dov’è? Da chi ripartire? E soprattutto, chi deciderà come ricostruire dalle attuali macerie? Mentre Francesco Totti (la cui candidatura nel pregara di ieri è la reale notizia di queste ore) assisteva inerme all’ennesimo scempio stagionale in tribuna, il presidente della Roma da Boston urlava (non nello spogliatoio ma attraverso i social) la sua rabbia: “Sappiamo tutti quali sono stati i problemi della stagione, ora i giocatori hanno zero alibi: tirino fuori le palle“. Troppo tardi ‘Mr President‘, come al solito le tempistiche sono sbagliate. Certi discorsi andavano fatti dopo Bologna, al limite massimo di guardia dopo Cagliari, oggi sanno di resa incondizionata, quando i buoi non solo sono usciti dalla famigerata stalla, ma hanno già percorso a vuoto diversi km.

UNICA VIA La tabula rasa di giugno sarà il primo atto di una nuova opera teatrale. E mentre il suggeritore di Londra, ispiratore filosofico dell’ennesimo fallimento sportivo a tinte giallorosse, è in azione da settimane con la sua fantomatica e rovente rubrica telefonica, a Trigoria si agita il vento contrario della rivoluzione: un blocco di dirigenti che deve pensare all’oggi, sperando di salvare il salvabile, spingendo affinchè si affidi loro la ricostruzione. Chi prevarrà? La risposta si capirà entro poche settimane, ma nel frattempo – a parer di chi scrive – basterebbe prendere un almanacco e rileggere la lunga e tortuosa storia della Roma. In 92 anni di militanza nell’emisfero calcistico, solo in due brevissimi periodi, questa squadra ha proiettato se stessa nella dimensione del successo: quando al comando ci sono stati due uomini – Fabio Capello e Nils Liedholm – diversi per tanti aspetti, ma assimilabili per uno solo, quello che conta: saper vincere.

La strada è tracciata e l’unico uomo attualmente libero da contattare e convincere, prima che ci riescano altri, ha un nome e cognome: Antonio Conte. E’ stato provato di tutto: il progetto filosofico, la rivoluzione culturale, i romantici ritorni, ‘la giovine Roma’, l’instant team o quasi, l’etrusco crepuscolare, il tecnico straniero, il ds sevillista che esponeva per ripicca le coppe vinte altrove per dire “io so io e voi nun sete un ca…” salvo poi scappare dopo 18 mesi. Si dia assoluta, incondizionata e reale carta bianca ad Antonio Conte, che antipatico o simpatico che sia, ha dimostrato di raggiungere ciò che la Roma, in stile Penelope e rispettiva tela, cerca disperatamente da anni costruendo e distruggendo senza soluzione di continuità: la vittoria. Un maxi ingaggio e un listone di nomi da cedere, dai quali ricavare il tesoretto da reinvestire. Facile, indolore, immediato e dal risultato quasi assicurato. Tutto ciò che di diverso accadrà sarà sintomo di nuovi, velleitari, tentativi di raggiungere una dimensione accettabile per poi ricadere nell’attuale, triste, oblio.

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