Roma, il progetto è pieno di buche

Roma, il progetto è pieno di buche

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IL MESSAGGERO (P. MEI) – La città e la squadra che ne porta il nome s’assomigliano, una metafora dell’altra. Navigano verso la decadenza e perfino il disamore dei romani e romanisti stessi. Stiamo mettendo in ordine i conti, dicono dal Campidoglio: sarà, ma poi la monnezza ci assedia, e quando le sfuggiamo rischiamo di cadere in una buca. Anche il triangolo Trigoria-Londra-Boston stava mettendo a posto i conti, sposando il totem della plusvalenza. Non ho mai visto un sacco di soldi segnare un gol disse una volta Johan Crujyff. Se poi servono solo a tappare buchi, o almeno così si dice, può finire anche peggio. Può succedere che resti fuori dalla Champions (e può succedere), e allora altro che le buche di Roma! Una voragine. Ma non è questo il peggio. Dov’era il Progetto, parola che ha velato infiniti insuccessi, un rosario di più anni? C’è un senso in Luis Enrique, cui successe la bandiera Zeman a furor di popolo o per tenere sopito quel furore? E poi Andreazzoli di tampone (quel derby perduto), l’invenzione Garcia che le cantò chiare, il cavallo di ritorno di Spalletti, che male si coniugò con l’addio di Totti probabilmente da programmare e condurre in porto con altro percorso, e Di Francesco, e il sor Claudio amatissimo, chiamato a metterci una toppa, ancora un disastroso buco. La leggete la sequenza: dov’è un Progetto in questo rosario di scelte? Il rosario, semmai, era quello dei giocatori che d’urgenza o in extremis venivano mandati al loro destino ed al buon destino di dove andavano.

VITTORIE ZERO – Una squadra che, se a citarla non generasse troppi rimpianti, sarebbe da vedere dritta dritta in qualche finale, anche di Champions. Sì, ci fu quella fiammata della notte contro il Barcellona, ma poi? Gli altri qualcosa vincevano, la Juve tantissimo: la Roma nulla. Nulla di nulla. Lazio, Milan e Napoli, in ordine alfabetico, qualcosa hanno messo in bacheca. Ci prova l’Atalanta- Era questo il progetto perdente, e qui è da usare la minuscola? Deve essere stato questo, se Antonio Conte, che dice di avere la vittoria nel sangue, quel Conte che per qualche giorno è servito a mettere in disparte la delusione della stagione, ha annunciato il suo no. Ranieri sarebbe andato a prenderlo all’aeroporto, disse. E pure quelli che non lo avevano in simpatia, in fondo si turavano il naso, come diceva Indro Montanelli in altre elezioni. Poteva essere l’inizio, questo sì, di un Progetto. E invece appare ai più la firma sotto un contratto di disamore. Perché città e squadra con il suo nome sono allo stesso bivio: Torino è tornata a fiorire con i Giochi del 2006 e la Juve imbattibile in Italia e il Cuore Toro hanno fatto il resto; Milano s’è rifatta il look e s’è rivitalizzata con l’Expò, e San Siro, anche con la speranza che cinesi e americani facciano la loro parte, è sempre pieno: Ma Roma senza Giochi che potevano essere e senza squadre che regalino un po’ di speranza, si sta buttando giù. Sta piano piano (e neppure troppo piano) scendendo la china. Quel che non fecero i barbari, fecero i Barberini, si diceva un tempo alludendo alla decadenza di Roma. Quel che non fecero i Barberini, fecero gli americani? E’ probabile che il disamore del magnifico popolo giallorosso non guarirebbe neppure se ora arrivasse Guardiola o comprassero Leo Messi, visto che Cristiano Ronaldo l’hanno comprato gli altri. L’amara ironia dice pure che ormai c’è perfino poco da vendere con plusvalenza adeguata. Il problema è che i romanisti hanno perduto anche l’ironia rugantina che li ha nutriti per secoli: pesa il macigno di non ci sono le condizioni scagliato da Antonio Conte. Ahimé, non ci sono.

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