Lo stadio si può fare, altro che storie

Lo stadio si può fare, altro che storie

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Il Romanista – Gli stadi di proprietà rappresentano il futuro delle società di calcio italiane. Lo dicono in molti, lo dicono tutti, lo si dice da anni. E lo dicono anche i probabili nuovi proprietari della Roma, la cordata statunitense guidata da DiBenedetto, che, per quanto diano maggiore importanza alla valorizzazione del marchio, del cosiddetto brand per dirla all’americana, hanno incluso nel loro progetto giallorosso anche la costruzione di un nuovo impianto. D’altronde, i vantaggi di una soluzione del genere sono sotto gli occhi di tutti, basti vedere i fatturati delle società inglesi o tedesche, già da tempo proprietarie degli stadi in cui giocano. E, anche per questo, è da diversi anni (all’incirca dal 2007) che in Italia si parla di una legge per facilitare la costruzione di nuovi impianti. Legge che sembrava giunta a maturazione, ma che invece incontra diversi intoppi, legati in particolare a vincoli ambientali. Possibile che non si possa compiere anche in Italia questo passo importante per lo sport più amato dagli italiani? A dire la verità, la possibilità c’è, eccome se c’è. Lo sta dimostrando la Juventus, che nel giro di pochissimo tempo sta mettendo in piedi il primo stadio di proprietà del calcio nostrano. La demolizione
del vecchio “Delle Alpi” è infatti iniziata a novembre 2008, mentre nei due mesi successivi è stata effettuata la gara d’appalto per la costruzione del nuovo impianto. I lavori veri e propri sono poi cominciati nel giugno del 2009, e si concluderanno, stando ai programmi, già il prossimo giugno. Due soli anni dunque, et voilà, lo stadio è pronto per l’inaugurazione, che si terrà a luglio 2011. Uno stadio che, come si legge nel sito della società bianconera, rappresenta «un grande intervento urbanistico», in quanto si tratta di una struttura «destinata a integrarsi nella città, con spazi fruibili da tutti, zone verdi, piazze e aree commerciali. Un impianto attivo sette giorni su sette, giorno e notte», come si conviene ad una struttura del genere, come tutti gli impianti di ultima generazione dovrebbero essere. Come ha dimostrato la Juventus, dunque, i nuovi stadi in Italia si possono fare, senza aggirare nessuno ostacolo legale o burocratico, senza nessuno escamotage. Lo hanno fatto a Torino, lo si può fare anche a Roma. L’aveva già capito Rosella Sensi, che, il 29 settembre del 2009, aveva presentato il progetto dello stadio da intitolare al padre. I lavori si sarebbero dovuti concludere in cinque anni, anche sulla spinta di quella nuova legge sugli impianti sportivi tanto attesa. 55-60 mila posti, tribune attaccate al campo, materiali modernissimi, quattro ristoranti, un museo. Il tutto a pochi passi dall’uscita Aurelia del Grande Raccordo Anulare. Queste erano le caratteristiche del progetto dello stadio “Franco Sensi”, progetto che è stato tuttavia accantonato dopo la messa in vendita della società. Accantonato sì, ma non abbandonato, perché è nelle intenzioni degli americani costruire il nuovo stadio. La cordata statunitense ha valutato in otto anni i tempi di costruzione dell’impianto. Un piano a lunga scadenza dunque, ma fondamentale. Anzi, vitale, perché rappresenterebbe l’elemento di maggior importanza per quell’autofinanziamento verso il quale il nuovo calcio europeo voluto da Platini va incontro. E che per, questo, rappresenterebbe il trampolino di lancio per una vera competitività a livello internazionale della società giallorossa. Magari lo stadio voluto dagli americani non avrà le stesse caratteristiche di quello progettato da Rosella Sensi, magari si troverà su un altro terreno e non all’uscita del Raccordo. Ma gli americani lo vogliono fare. Perché in Italia si può fare. Tanto a Torino quanto a Roma.

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