Quelli che… rimpiangono Menez

Quelli che… rimpiangono Menez

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IL ROMANISTA – D. GALLI – Un gol. Di pregevolissima fattura, per carità, ma un solo gol. All’Ucraina. E peraltro realizzato dopo averne sbagliati prima altri tre. Tanto è bastato per riaprire la polemica: ma la Roma perché ha dato via Jeremy Menez?

«Un campione che se n’è andato via così… e ora gioca in una grande squadra», è stato detto alle radio. È stato detto adesso, non quando Jerry metteva il muso a Montella oppure sbagliava sotto porta. Un campione come Vucinic, eh? Un altro che quando vestiva la maglia della Roma non era reputato un fenomeno, perché alternava prestazioni superbe a prove opache e dopo che è stato ceduto alla Juve è diventato un rimpianto. Il problema di questa piazza è che non ha memoria. Oppure sì, ma ce l’ha corta. C’è chi non ricorda che i campioni, quelli veri, la Roma li aveva pure in passato e che, per causa di forza maggiore, perché i bilanci lo imponevano, ha dovuto sacrificarli. Emerson, Cafu, Samuel, Chivu, Aquilani, solo per fare qualche nome eccellente. Capita, era necessario, è stato fatto. Qualcuno invece lo abbiamo perso «così». Mexes, per esempio. Il Milan lo ha preso a parametro zero. Per forza. Era in scadenza di contratto e quando si è accordato con il club rossonero, la cordata americana era ancora un’ipotesi lontana, era al massimo una non-binding offer, come venivano chiamate in gergo all’epoca della cessione (autunno di due anni fa) le offerte non vincolanti per l’As Roma. Qualcuno, qualcuna, avrebbe dovuto proporgli il rinnovo l’anno prima. Non è successo e amen. La Roma si è trovata di nuovo a poter spendere sul mercato senza dover sperare in una qualificazione in Coppa Campioni. C’erano però due situazioni da sistemare, due calciatori che avevano considerato conclusa la loro esperienza romanista. Lo avevano deciso loro, non la società. Non Walter Sabatini. Si trattava di Jeremy Menez e Mirko Vucinic.

I campionissimi. I rimpianti. Partiamo dal francese. Menez, che con il Psg degli sceicchi è arrivato secondo in Ligue 1 alle spalle del Montpellier, era un campionissimo? Con la Roma, in tre campionati e con tre allenatori diversissimi fra di loro (Spalletti, Ranieri, Montella), ha messo a segno appena 7 gol. E cioè lo stesso numero di reti siglate in una sola stagione di Ligue 1. Sette, oltretutto, non settecento o venticinquemila come Borriello. Fabio Borini, al suo primo anno da romanista, ne ha realizzate 9. Due in più. Osvaldo, che però è una prima punta, ha anche fatto meglio: 11. Quattro in più. A Trigoria, fuori forse sì (adesso), non è mai stato considerato un campionissimo. Era un talento, certamente, nel quale la Roma credeva. Ci credeva anche Sabatini, che appena assunta la direzione sportiva parlò a lungo con Menez per trattenerlo. «È forte, esalta la gente», disse il diesse. Il francese andò anche a Riscone. C’era la prospettiva di una stagione del tutto rivoluzionaria, c’era una Roma che si stava rinnovando, c’erano le risorse per rafforzare l’organico. Non ci fu nulla da fare, il Psg era piombato sull’attaccante. I francesi offrirono alla Roma 8 milioni più un altro milioncino se il club parigino fosse riuscito a centrare la Champions. Alternative alla cessione non c’erano. Certo, Sabatini si sarebbe potuto impuntare. Peccato che il contratto di Jeremy scadesse a giugno 2012. L’anno dopo, dunque. Nessuno aveva pensato di offrirgli il rinnovo e la Roma si era trovata in posizione di debolezza. E Menez non era Daniele De Rossi, che ha atteso oltre ogni limite pur di trovare un accordo con la Roma e non andarsene a parametro zero. Non era solo una questione economica, ma di affetto. Quello di Jeremy per questa città, probabilmente, si era esaurito. Jeremy era infelice, semplice. Colpa di Sabatini? Colpa della cordata americana? Colpa di chi? Di nessuno, è la vita. È il calcio. Mica sono tutti De Rossi o Totti.

Affare Vucinic. Un altro campionissimo ora rimpianto. Sul campione, ok, ci si può stare perché lui, a differenza di Menez, almeno un titolo lo ha vinto. Con la Juve, la sua Juve. È sul rimpianto che non ci si può stare. Al suo primo anno romanista, il montenegrino segna un paio di gol. Ma è giustificato, si opera al menisco e trova la prima rete a metà stagione. Nella seconda sale a 9 gol. Mica male. Sempre meno della prima punta Osvaldo e uguale uguale alla seconda punta Borini, ma mica male. In comune con Menez, Vucinic aveva l’intenzione. Quella di andarsene. «È quello che mi è mancato di più nell’ultimo periodo, il sorriso. Qui l’ho ritrovato e ora mi sento felice», commentò entusiasta nella solare Chiusa di Pesio, dintorni di Cuneo. «È andato via così…», si ascolta (adesso) sulle frequenze romane. No, non è andato via così. Se n’è voluto andare via, nonostante l’incessante corteggiamento di Sabatini. Forse, la Roma avrebbe potuto incassare qualcosa in più dei 15 milioni pattuiti con la Juve. Sì, forse sì. Ma di fronte al sorriso ritrovato di Vucinic, Sabatini non poteva non commuoversi: «Con lui abbiamo perso qualche soldo per fargli ritrovare il sorriso». Che non si farebbe, e che non si direbbe, per far ridere qualcuno.

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