Una Roma da applausi ma quanti sprechi… E Cristiano la punisce

Una Roma da applausi ma quanti sprechi… E Cristiano la punisce

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La Gazzetta dello Sport (S.Vernazza) – Se per quattro volte, sullo 0-0, metti l’uomo davanti al portiere e ne ricavi tre tiri fuori e una respinta, è inevitabile che su di te si abbatta come una scure la prima inesorabile legge del calcio: «Gol sbagliato gol subito». Real-Roma è racchiusa qui, nello sciupio giallorosso quando le cose si potevano ancora raddrizzare. Rimontare una sconfitta per 0-2 in casa all’andata rappresenta una specie di scalata dell’Everest, l’impresa è riuscita a pochissimi, eppure al Bernabeu il treno della storia è passato sotto il naso della Roma per quattro volte, e la Roma mai è riuscita a prenderlo. Il Real non ha potuto esimersi dal punire tanta beneficenza, però attenzione, questo è il classico caso in cui non bisogna fermarsi al risultato. Quattro gol di differenza nei 180 minuti e un notevole gap tecnico, ma quanto a gioco e organizzazione meglio la Roma. Il Real resta un meraviglioso album di figurine.

GLI SCIAGURATI – «Sciagurato» Egidio, così Gianni Brera negli anni Settanta ribattezzò Egidio Calloni, centravanti del Milan specialista in gol mancati. Ieri il karma «callonesco» si è impossessato della Roma, tre gli sciagurati giallorossi. Di tutti il più colpevole è sembrato Dzeko, che verso il quarto d’ora, con la porta spalancata davanti a sé, ha spedito la palla in curva. Dzeko merita il premio Calloni dell’anno, perché recidivo: ricordate l’erroraccio col Palermo? Sul secondo gradino del podio, Salah: per due volte faccia a faccia con Keylor Navas, per due volte tiri fuori. L’egiziano però ha l’attenuante del grande lavoro in corsia, per un tempo le sue accelerazioni hanno squassato il fianco sinistro del Real. L’ultima chance prima della inevitabile beffa se l’è divorata Manolas, ma il greco è un difensore, concludere nella porta altrui non è il suo mestiere. Come se non bastasse, verso la fine e già sul 20, un palo ha negato a Perotti il gol dell’onore. Non era aria, per l’attacco romanista.
EPPURE… – Eppure Spalletti la partita l’ha preparata bene. Assetto iperoffensivo, ma con giudizio, grazie allo spirito di sacrificio di tutti, e in particolare delle due ali, che hanno accettato di sciropparsi un imprecisato numero di «vasche». Consapevole della superiorità tecnica del Real, Spalletti non si è consegnato al palleggio irridente degli avversari. Ha cercato di tenerli lontani dall’area e a lungo il Madrid ha insidiato Szczesny soltanto con botte dalla distanza. Chiaro l’obiettivo, andare alla ricerca della ripartenza, meglio se «alta». E il piano per un’ora è riuscito, perché al conto delle occasioni buttate va aggiunto un mancato assist di Salah a Perotti: su un rovesciamento rapido, la Roma si è trovata in superiorità numerica ai 16 metri, con Perotti libero e bello a destra, ma l’egiziano non l’ha visto e ciao. Insomma, il festival dello spreco. Che colpa ne ha Spalletti se là davanti si sono mangiati l’immangiabile? Un dato più di altri rende l’idea. La Roma per 90 minuti è stata «corta», dislocata in media su 33 metri di campo. Il che significa compattezza, unità di intenti, collaborazione. Il Real è stato più lungo di cinque metri. Poi l’atteggiamento medio sul fuorigioco: quasi trenta metri, molto alto, quello romanista. Indicatori che dicono come a livello tattico si sia fatto il possibile. Casomai si può sindacare sulla mentalità, qualcuno ha mostrato il braccino e ha sofferto la scenografia del Bernabeu. Altre e più macroscopiche cifre tiri in porta 12 a 5 sorridono al Real, ma sarebbe strano il contrario, perché non è in discussione la superiorità tecnica madridista. Si sono scontrate due visioni del calcio: quella di Spalletti esige il rispetto di un copione, quella di Zidane lascia agli attori la libertà di recitare secondo estro. Il successo degli interpreti sugli sceneggiatori, ecco.

DIVERSITÀ – Perché sì, proprio si è notata la diversità tra una squadra organizzata, come la Roma, e un assembramento di campioni, come il Real, sebbene non tutti i madridisti abbiano la «luccicanza» dei grandi giocatori. Il terzino destro di serata, Danilo, non è sembrato per esempio all’altezza della compagnia. Ed è significativo che il tendone del circo Madrid lo abbia sorretto un brasiliano anomalo come Casemiro, specie di Gattuso del Sudamerica, «cagnaccio» che ieri sera braccava qualunque romanista osasse avventurarsi sulla trequarti. In un calcio iperorganizzato come quello del Duemila, è difficile immaginare che il Real possa arrivare alla finale di San Siro. Magari saremo smentiti dai fatti, però questo Madrid, terzo in Liga, ci sembra la dimostrazione che oggi un fenomeno qui Cristiano Ronaldo da solo non ce la può fare a portare i compagni oltre ogni limite. L’impresa riuscì a Maradona, trent’anni fa, con l’Argentina campione del mondo ’86, però Diego era Diego, qualcosa (qualcuno) di irripetibile.

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