Zeman e il derby. La sfida normale nel credo del gol

Zeman e il derby. La sfida normale nel credo del gol

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GAZZETTA DELLO SPORT – M. NICITA – Prendete Alen Boksic, uno che ha dato sempre l’impressione di strafottenza tanto da vincere molto meno di quanto potesse coi suoi straordinari mezzi. Ebbene lo strafottente Boksic passava le ore di vigilia dei derby notturni chiuso in bagno, perché la tensione gli faceva questo effetto. A un giocatore che vive psicologicamente una partita così, non basta dire «il derby è una gara come le altre». Ma se aspettate che cambi Zdenek Zemanin questa Roma provinciale che vive la stracittadina come un palio, state freschi. Piuttosto in questi anni è stato lui — e questo è innegabile — a cambiare i tifosi romani, che si trovano d’accordo solo nel riconoscergli onestà intellettuale e gusto per il bel calcio. Non è poco in una metropoli con quasi tre millenni alle spalle, che diventa un po’ paese due settimane all’anno.

Sulle montagne russe Lui, Sdengo, non si sposta dal suo credo e questo lo ha portato a subire anche sonore batoste. La prima al debutto assoluto, novembre ’94, sulla panca della Lazio: 0-3 da Carletto Mazzone che alla fine si tolse macigni dagli scarponi parlando di «scienziati che pensavano di aver inventato il calcio». Al ritorno quella Lazio si «ammutinò» tatticamente e vinse 2-0. Con lui la sfida non è mai banale e alla prima stagione alla Roma perse quattro derby di fila, impresa ricordata a Formello con una targa commemorativa.

Dubbi Ma i romanisti gliel’hanno perdonata e ora si chiedono come questa Roma — per certi versi la meno zemaniana di sempre nell’apprendimento degli schemi — approccerà la gara. Lui chiederà di attaccare, ma i rischi sono alti per una difesa che è la peggiore dopo quella del Chievo.

De Rossi come Di Matteo? I paragoni lasciano il tempo che trovano, ma questo De Rossi che fatica a trovare la sua collocazione tattica con Zeman sembra somigliare a una diatriba che nel passato il boemo ebbe con un altro centrocampista di livello internazionale: Roberto Di Matteo, il tecnico che ha vinto la Champions nel Chelsea. L’italo-svizzero spesso si scontrava con Zeman perché chiedeva una squadra più attenta in fase difensiva. Non sappiamo se con Daniele ci siano problemi dello stesso tipo, c’è però la possibilità che la storia si concluda in maniera simile: con la cessione in Inghilterra del giocatore.

L’ideale del boemo In tempi non sospetti — quando un anno fa allenava il Pescara — Zeman enunciò la sua squadra ideale a Roma dal centrocampo in su: Fuser-Di Biagio-Winter; Totti-Casiraghi-Signori. Dunque il fido Di Biagio e non per l’appunto Di Matteo. A sinistra quell’olandese, Winter, che faceva dannare il suo guardaspalle Favalli per la poca propensione difensiva. A destra quel Diego ultimo ad attraversare le sponde del Tevere, senza grandi traumi. Davanti l’amato Signori, l’adorato Totti e quel Casiraghi che con Zeman in panca segnò quattro gol in una partita. Manca Rambaudi, elemento tattico essenziale del tridente, in chiave anche difensiva. Vedremo domenica, intanto ci convince di più l’ultima versione di Zdenek: «Il derby non è una guerra. Ricordate che tutti abbiamo amici sull’altra sponda. Non rinnegateli in questa settimana». Significa non rinnegare i valori sportivi. Ma questo è il derby, bellezza.

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