Buffon: a un passo nel 2001 e nel 2006. La Roma è...

Buffon: a un passo nel 2001 e nel 2006. La Roma è nel suo destino

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IL ROMANISTA – Tifa Genoa, è un ultrà della Carrarese di cui è anche proprietario e ha sempre avuto una simpatia per la Roma. Che poi Gigi Buffon sia da dieci anni il portiere della Juventus è quasi una paradossale nota a margine. Chi conosce i sapori del calcio capisce perfettamente perché ciclicamente il nome di Buffon venga accostato a quello della Roma. Affinità elettive, simpatie a pelle. E queste non sono cose secondarie, perché al fondo di ogni scelta c’è sempre qualcosa di catalogabile come irrazionale, o meglio come «simpatico».

Se la prossima stagione Buffon vestirà finalmente la maglia della Roma dipenderà tanto anche da questo. E’ una storia nata molto tempo fa, esattamente all’inizio di giugno del 2001, quando Franco Baldini aveva praticamente comprato dal Parma sia il portiere con la maglietta da Superman (grazie a quella parò un rigore a Ronaldo, Ronaldo Ronaldo, contro l’Inter) sia Fabio Cannavaro. Il prezzo, lira più lira meno, quello di 110 miliardi, andando a sfondare persino l’investimento tricolore per Batistuta. Era talmente fatto che sui giornali quasi non si sottolineava più l’affare e la mattina del 17 giugno (allo stadio quel giorno si entrava come una volta: prestino) l’ Olimpico dei centomila veramente cantava “Vie’ a gioca’ co’ noi”. Quel giorno Buffon ci mise anche un po’ del suo per fare la Roma campione d’Italia: quando quell’enorme branco di idioti invase il campo, il portierone si adoperò per cercare di rimediare maglie e magliettine da dare ai suoi colleghi in giallorosso così da riprendere il gioco e chiudere il campionato il più presto possibile. Lui finì la partita in mutande: 3-1. Pensateci, in uno dei tre tabellini più belli della nostra storia c’è il nome di Gianluigi Buffon. Soltanto pochi giorni dopo, però, Gianluigi Gigi Buffon finì alla Juventus invece che alla Roma. Anche Cannavaro non venne. Potere del mercato, almeno di quel calciomercato governato da logiche – in parte – scoperte da Calciopoli: una Roma appena campione d’Italia, che s’era già assicurata il gioiello Cassano, con Cannavaro e Buffon rischiava di diventare una brutta (per loro) e pesante ipoteca sul futuro che invece doveva essere ancora deciso nel triangolo industriale e dalla Triade. Amen. Il 15 settembre di quell’anno, a ridosso proprio della partita con la Roma, Buffon da juventino non rinunciava a elogiare particolarmente la squadra giallorossa che non era partita bene e, soprattutto, a incoronare un giocatore. Il giocatore: «Alla Roma se potessi toglierei Francesco Totti. Lo conosco da tempo, sin dai tempi dall’Under 15. E’ il più forte di tutti». Vero. Totti gli aveva già segnato un cucchiaio meraviglia all’Olimpico in corsa, di sinistro sotto la Nord. Con Totti era già nata quella simpatia che ha scandito le carriere dei due campioni del mondo. Appunto. In Germania nel 2006 l’Italia che vinse il Mondiale fu un’Italia che vinse nello spogliatoio, col gruppo, dall’inizio alla fine, da Buffon a Totti. Fu un’Italia che vinse il Mondiale grazie a quello che capitò prima di andare a Duisburg. Se un giorno Buffon diventerà romanista lo sarà anche grazie a Totti e anche grazie a una brutta serata di fine maggio vissuta fra Coverciano e Parma. Il portiere della Juve e dell’Italia era coinvolto in un giro di scommesse – che non c’entravano nulla con Calciopoli – e per questo venne interrogato dalla Procura di Parma prima della partenza per la Germania. Quasi all’improvviso. Di sera. Cercando di non far sapere nulla – almeno quella sera – alla stampa che stava cenando a Firenze. Buffon lasciò la stanza, il ritiro, i guantoni la Nazionale in lacrime, col pensiero e la paura, con la paura e il pensiero di non fare più ritorno dentro quel gruppo, dentro quel sogno. E’ in quei giorni che Francesco Totti – lo zoppo come veniva chiamato anche da parte della stessa stampa che cenava sempre a Firenze – stette vicino a Buffon (col quale nel frattempo c’erano già stati anni di playstation, di battute, di barzellette, con una partecipazione del portierone anche nel libro dvd di Totti). E quell’immagine di Buffon girato spalle a Totti che stava per calciare contro l’Australia all’ultimo minuto il rigore più importante della storia d’Italia, è l’immagine non solo di un collega, di un campione, ma di un amico e di un tifoso che “proprio non ce la faceva a vedere” tutto quel tutto che Francesco si accingeva a dover rischiare. Ma per quello che ci frega, la ciccia arrivava dopo. Esattamente il 10 luglio quando Buffon – accerchiato da Totti e da De Rossi (un altro amico, come in questi giorni qualcuno avrà capito viste le dichiarazioni di Buffon su Daniele, visto che Buffon è uno che non tradisce) vide tutta la grandezza di Roma. E non è un modo di dire. L’oceano di gente sull’Aventino a festeggiare i campioni del mondo lasciò Buffon senza parole e soprattutto con un’intenzione che mai come in quel momento era chiara: andare alla Roma. Il giorno dopo, martedì 11 Luglio, Gianluigi Buffon chiamò telefonicamente la presidenza romanista per dare la sua disponibilità al trasferimento, alla dirigenza juventina l’aveva già fatto sapere. Quelli furono i giorni di una trattativa sottotraccia che pochi mesi dopo lo stesso Buffon confermò in una trasmissione serale a La7: se alla Juven tus fossero stati confermati i 30 punti di penalizzazione nel campionato di serie B, probabilmente quell’estate Buffon sarebbe finito in giallorosso con la formula del prestito biennale (scambio con Curci, all’epoca quotato, più due giovani già affermati della rosa romanista…). Non se ne fece niente malgrado l’intervento addirittura dell’ex sindaco di Roma, Walter Veltroni che chiamò direttamente John Elkann: «E’ difficile perché vorremmo tenercelo ma in caso di prestito la Roma andrebbe benissimo», la risposta. La Juventus era entrata nell’ordine di idee di accontentare il suo portiere, perché aveva programmato il ritorno in A nel giro di due stagioni, ma quando la penalizzazione scese fino al – 9, si chiusero tutti gli spiragli.

Già in quell’estate da campione del mondo, comunque, fu chiara una cosa, cioè che Buffon mise la Roma in cima alla sua lista delle preferenze, sopra al Milan – graziato dai Giudici e disposto a spendere tantissimo per il cartellino dello juventino – e all’Arsenal pure pronto a soddisfare qualsiasi richiesta del più forte portiere del mondo.

Parte di quell’estate Totti e Buffon la passarono in Polinesia, probabilmente a parlare di Roma e della Roma. Cinque anni dopo la storia si ripete, sia quella del 2001 – a livello dirigenziale – sia quella del 2006, col Capitano che chiama a sé i suoi uomini per la sua Roma. Buffon non vede l’ora. Buffon è uno vero. Da Torino si porterebbe dietro non tanto la fama di un grande juventino – che ha avuto l’onore di restare al suo posto anche in B – ma quella di un portiere più grande e di un uomo che non solo non ha fatto nulla per essere inviso ai romanisti (e dopo 10 anni di Juventus è tutto dire) ma che anzi ha saputo trasmettere qualcosa di positivo e importante. Un portiere che è rimasto attaccato e fedele alle sue passioni: ancora oggi quando va a Marassi saluta la Gradinata Nord genoana, e ancora oggi quando va in porta si mette i guanti sui quali porta scritto l’acronimo “C.U.I.T.”, che significa Commando Ultras Indian Trips, ovvero il nome di un gruppo ultras della Carrarese. Scelte. Simpatie. Come quella per la Roma. Oltre a uno stabilimento balneare che si chiama “La Romanina” ha anche un ristorante nel centro della città di Pistoia intitolato “Zerosei”. E ’ il prefisso di un destino. Basta chiamarlo.

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