Discriminazione territoriale, concetto Made in Italy. Ma le società potevano evitarlo.

Discriminazione territoriale, concetto Made in Italy. Ma le società potevano evitarlo.

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curva sud roma“Il Calcio è nel caos“. Potrebbe essere il titolo di un film o di un documentario estremamente approfondito sul calcio italiano degli ultimi 20 anni, visto il numero elevatissimo di scandali che lo hanno coinvolto.

Questa volta però il verso scandalo lo si sta perpetrando nei confronti dei tifosi italiani, che da oltre 30 anni fanno della goliardia e dello sfottò l’arma verbale negli stadi, per contrastare dialetticamente le curve avversarie e che improvvisamente, da qualche mese a questa parte, subiscono pesanti sanzioni restrittive, legate da un unico filo conduttore “la discriminazione territoriale“.

La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: perchè improvvisamente il campanilismo che da sempre colora gli stadi italiani, magari eticamente rivedibile, ma pur sempre ricondotto nell’alveo di un sano sfottò tra tifosi, si è trasformato in becera discriminazione da sanzionare con la chiusura di interi settori?

La risposta arriva, ripercorrendo la storia di questa norma introdotta nel regolamento federale alcuni mesi fa, quando nel maggio scorso l’Uefa ha inasprito le pene per i casi di razzismo negli stadi. Ogni singola federazione sportiva, quindi, ha recepito le direttive europee, che prevedono una serie graduale di provvedimenti, dotati di una sempre maggiore afflittività in caso di recidiva: in primis gli avvertimenti, la sospensione o l’interruzione di partite in caso di cori o buu razzisti; poi  la chiusura del settore colpevole (nel caso in cui si tratti della prima volta), o dello stadio intero (dalla seconda volta); parallelamente anche 10 turni di squalifica ai giocatori che si macchiano di un’azione, gesto o insulti razzisti.

L’articolo 14 delle Regole disciplinari dell’Uefa definisce il cuore della fattispecie nella condotta di chi “ insulta la dignità umana di una persona o di un gruppo di persone in qualsiasi modo, inclusi il colore della pelle, la razza, la religione o l’etnia”.

Le norme Uefa non parlano espressamente di discriminazione territoriale e sono state inasprite per colpire i casi di razzismo, questi si da debellare, laddove ce ne fosse bisogno, all’interno degli stadi di tutta Europa. 

Giancarlo-AbeteLa FIGC, nel recepire la direttiva, ha però scelto una strada curiosa, modificando l’art 11, comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva che recita “Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale e/o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

In maniera del tutto arbitraria, la Federazione Italiana ha reinterpretato la previsione della normativa Uefa, ponendo l’accento sull’ipotesi di discriminazione territoriale, che tutt’ora è concetto “sconosciuto” alle altre Federazioni calcistiche del nostro Continente.

Da qui provengono le numerose sanzioni comminate dal giudice sportivo Tosel a diverse curve italiane, in particolar modo sono state colpite da turni di squalifiche le curve del Milan, dell’Inter, della Juventus, della Roma e della Lazio, tutte o quasi per cori di discriminazione territoriale nei confronti del popolo Napoletano.

Nonostante i numerosi ricorsi all’Alta Corte di Giustizia del Coni, nonostante il movimento di protesta scatenatosi sul web, negli stadi, e tramite i media da parte di tutte le curve di Italia, nonostante gli striscioni ironici esposti dalla Curva B partenopea che recitavano “Lavaci col Fuoco”, i vertici federali non hanno ancora deciso di eliminare questa norma insulsa, dopo averla modificata con l’inserimento della famosa condizionale.

Il presidente della FIGC Giancarlo Abete, ha sottolineato alcune settimane fa che “la discriminazione territoriale è contemplata delle Norme federali (art. 11 e 18) da tempo”, e che l’Uefa racchiude anche questa eccezione nelle parole “qualsiasi modo”. Un’interpretazione quanto meno temeraria, ed estremamente forzata da un punto di vista dogmatico.

Ma quali sono effettivamente i  profili di illegittimità  di questa normativa ?  In primo luogo la valutazione in concreto del significato del concetto di discriminazione territoriale. Se si sanzionano i cori contro i tifosi napoletani che recitano frasi inneggianti al Vesuvio o al colera, non si comprende perché altrettanti cori “ingiuriosi” e discriminatori come “romano bastardo o romano di m…” non vengano presi in considerazione e sanzionati. La discriminazione nella discriminazione direbbe qualcuno, ma realmente ciò accade.

Un altro profilo incostituzionale è dettato dalla non distinzione delle competizioni: le due curve della Roma ad esempio sono state sanzionate con due turni di stop in campionato, nonostante i cori siano stati fatti nel corso della semifinale d’andata di Coppa Italia. E’ impossibile riscontare in concreto la presenza del medesimo gruppo di persone che solitamente siedono in Curva Sud o Nord in Campionato e che in occasione della gara di Coppa abbiano o meno presenziato nello stesso settore.

curva sudE’ assolutamente illegittimo sanzionare soggetti che hanno acquistato un abbonamento, quindi hanno pagato un prezzo sottoscrivendo un contratto, per le gare di campionato, e che magari nella serata di Coppa non erano presenti in quel settore. Il principio personalistico di responsabilità sancito dalla nostra Costituzione viene in questo modo calpestato da una norma applicata in malo modo dalle istituzioni calcistiche.

Il Presidente della Lega Beretta ha recentemente inviato una lettera alla Federazione chiedendo un’immediata revisione della normativa, supportando il pensiero delle società calcistiche che oltre a subire degli evidenti danni economici per i mancati incassi, rischiano anche di subire danni sportivi legati all’assenza dei tifosi con effetto lesivo nei confronti delle prestazioni delle squadre in campo e ulteriori rischi di penalizzazioni in classifica, previste come sanzioni ultime, che falserebbero così le classifiche.

Nell’esprimere l’assoluta contrarietà alla normativa sovra descritta e auspicando un intervento del CONI sulla materia, che possa dirimere le opposte fazioni sul tema, ci chiediamo in ultimo perchè le società di Serie A e B abbiano acconsentito alla modifica di questa normativa, senza chiedere alla Federazione ab origine, una più approfondita analisi della fattispecie.

I vertici della Federazione, i vice presidenti della FIGC sono espressione della politica calcistica italiana, sono eletti dall’Assemblea generale della Federazione, che è organo collegiale i cui componenti sono i rappresentanti di tutte le società italiane professionistiche e non. Perchè dunque, alla luce di ciò, non si è evitato a monte che si interpretasse in questo modo restrittivo una direttiva europea creata per sanzionare principalmente i casi di razzismo, non comprendendo appieno che determinate sanzioni avrebbero pregiudicato il diritto dei tifosi di seguire, anche goliardicamente, la propria squadra del cuore allo stadio?

Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

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