Esclusiva CGR: intervista a Daniele Rossi, protagonista del documentario “Zero a zero”.

Esclusiva CGR: intervista a Daniele Rossi, protagonista del documentario “Zero a zero”.

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Daniele RossiL’altra faccia della medaglia ha il volto di chi non ce l’ha fatta. Lo scherzo di un destino beffardo, che non ha concesso loro una seconda possibilità. Per colpa di una parola di troppo, o per un infortunio curato male che non ha più permesso di poter giocare a calcio a certi livelli. La storia di Marco Caterini, Andrea Giulii Capponi e Daniele Rossi è stata raccontata dal regista Paolo Geremei nel documentario “Zero a zero”, che ripercorre la loro breve carriera e raccoglie le testimonianze dei tre ragazzi oggi, alle prese con una vita “normale”, che li ha portati lontano dalla luce dei riflettori.

Abbiamo intervistato Daniele Rossi, Campione d’Italia Allievi, nel 1993, con la Roma. In quella squadra il suo compagno in attacco era un ragazzino biondo, anche lui molto promettente, un certo Francesco Totti… Daniele ci ha raccontato le sue emozioni nel ricordare la sua breve carriera e quello che oggi ancora insegna ai giovani calciatori del Milan.

Daniele, che emozioni hai provato nel rivedere la tua esperienza calcistica riprodotta sul grande schermo?

L’emozione di rivedere tutta la mia breve carriera in un film è tanta. Ho provato un mix di sensazioni. Tanta gioia, perché è stato un periodo davvero felice per me. Ma anche sconforto, per quello che poteva essere e che invece non si è concretizzato. Ero davvero scombussolato.

Che ricordi hai del tuo periodo trascorso alla Roma?

Con la Roma ho passato sette splendidi anni. E’ stato un onore poter vestire quella maglia, giocare con tanti ragazzi, avere allenatori preparatissimi, calcare i campi e vivere la quotidianità all’interno delle strutture di Trigoria, che per me è stata una seconda casa. Nelle partite giocate sono riuscito ad ottenere tanti successi. Ho realizzato anche diversi goal. Insomma, mi ritengo fortunato.

Qual’era il tuo rapporto con Totti? Si era già capito che sarebbe poi diventato un grandissimo del calcio?

Con Francesco c’è sempre stata una grande intesa, in campo e fuori. Eravamo molto amici, tanto che abbiamo anche frequentato la stessa scuola, il Poliziano, dove ci mandava a studiare la Roma. Ci siamo diplomati insieme. Ricordo che non potevano stare vicini neanche al banco, giocavamo e scherzavamo sempre e spesso ci cacciavano dall’aula. Io penso che sia il giocatore più forte di tutti i tempi ed anche da ragazzo è sempre stato il migliore. Aver giocato con lui è per me l’orgoglio più grande.

La cosa che più rimpiangi di non aver ottenuto dopo quel maledetto infortunio?

Il mio rimpianto più grande non è tanto il non aver fatto il calciatore. Fama e soldi non sono mai stati una priorità per me. Quello che più mi è mancato è il tempo che non ho potuto vivere sul campo, sfogando la mia passione più grande ed il poter mettere a frutto il talento con il quale ero nato. Tutto ciò mi avrebbe dato la possibilità di esprimere davvero quello che sono, il mio modo di vivere il calcio.

Com’è oggi la tua esperienza con i giovani del Milan?

Oggi fare l’allenatore e poter condividere con i ragazzi le cose che conosco e che ho imparato negli anni da giocatore mi ripaga molto. Con il Milan, poi, partecipando ai camp in giro per il mondo, ho la possibilità di conoscere e potermi confrontare con molteplici culture e approcci al calcio diversi dal nostro. Lo trovo un modo efficace per rimanere nel mondo del calcio, potendo dare un mio contributo attivo, mettendoci l’immensa passione che ho per questo sport, sperando che i bambini possano effettivamente capire quali sono i valori e le possibilità che il calcio può offrire loro.

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