IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) – Qualcuno di quelli un po’ più attempatelli magari ci avrà pure pensato: l’azione del gol di Edin Dzeko al Verona ha ricordato quella che portò Falcao a segnare la rete al Cagliari (16 gennaio 1983), sempre all’Olimpico, l’anno dello scudetto. Discesa fulminate sulla destra da parte di Sebino Nela, sterzata verso l’interno, cross di sinistro a tagliare la porta, là il Divino (poi espulso per una gomitata galeotta non sfuggita all’arbitro Pieri) ha insaccato di testa in tuffo sul secondo palo, facendo esplodere lo stadio. Stavolta il Sebino Nela è Alessandro Florenzi, pure lui un adattato a fare il terzino,ma a differenza del numero 2 campione d’Italia con Liedholm, è un destro naturale. Nela crossò col suo piede, il sinistro, Alessandro con quello di riserva, che poi è sempre il sinistro. Amarcord a parte, ciò che funziona bene in Florenzi – oltre ai due piedi – è quel ginocchio maledetto che per due volte si è spezzato e lo ha allontanato dalla Roma per undici mesi. Quasi un anno di passione e speranza, culminato con l’esordio dell’altra sera. Esordio bagnato e quanto pare, fortunato. Ma di fortunoso Florenzi ha poco. Lui è un ragazzo di grandi qualità tecniche e una duttilità tattica incredibile. Un tutto campista.
STANCO – Dopo il Verona era distrutto: novanta minuti giocati a quel ritmo non se li aspettava nessuno, forse nemmeno lui. «Non è stato facile, è stato un periodo difficile per me. De Rossi è stato quello che mi ha aiutato di più oltre alla mia famiglia. In questi mesi sono cresciuto molto come uomo e come calciatore, l’infortunio ma ha reso più forte. Ma questo ora va messo in secondo piano, senza affetti vicino, senza mia moglie e mia figlia, non sarei riuscito a fare tutto quello che ho fatto», le sue parole. E ora si ricomincia. Di corsa. E sarà bellissimo, come dice lui nello spot per gli abbonamenti. Ma forse bellissimo lo è già.