Giocatori, allenatore, società: chi sta pensando realmente al bene della Roma? Storia...

Giocatori, allenatore, società: chi sta pensando realmente al bene della Roma? Storia di un virus da debellare…

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PROLOGO “L’allegra compagnia…” – “C’era una volta un bostoniano, un toscano residente a Londra, un milanese, un romano e uno spagnolo (coadiuvato da un professionista dall’elevata “educazione sabauda”), che dopo l’ennesima batosta stagionale, si sono ritrovati in una stanza, non tutti insieme fisicamente (ci mancherebbe altro) ma collegati virtrualmente attraverso smartphone e conference call, per programmare il futuro della Roma “E mo’ che si fa?”… non è una barzelletta – anche se le varie nazionalità dei protagonisti potrebbero indurre a pensarlo- ma l’immaginario e supposto colloquio che (si spera) Pallotta e i dirigenti della Roma avranno tenuto dopo la pesante sconfitta nel derby.

Tra futuro tecnico, budget finanziari legati al raggiungimento del secondo posto utile per l’accesso diretto alla Champions League, lo sbarco e la presentazione del neo ds Monchi (al quale chi scrive rinnova gli auguri di un buonissimo lavoro sperando che mantenga la lucidità e la forza mostrate per quindici anni a Siviglia), l’esplosione del caso Totti con battute e risposte a distanza nella pancia dell’Olimpico, la domanda sorge spontanea: ma alla Roma chi ci pensa? Chi sta realmente pensando al presente giallorosso?

CAPITOLO 1 – I giocatori o “Calciattori”? I presunti eroi giallorossi che domenica pomeriggio hanno mostrato per l’ennesima volta “quando il gioco si fa duro” di non pensare minimamente al bene della squadra per la quale giocano, per i colori che (in maniera poco dignitosa nell’ultimo mese e mezzo) indossano, visto l’atteggiamento dimesso, confusionario, irritante e irriverente mostrato nel derby: una squadra incredibilmente involuta, undici calciatori allo sbaraglio, in preda a crisi isteriche (leggasi la sciocca espulsione finale di Rudiger o il siparietto tra Manolas e De Rossi, con il greco che in maniera schizofrenica restituiva per tre volte il pallone a De Rossi non sapendo cosa farne) che hanno gettato alle ortiche tutti gli obiettivi stagionali, steccando tutti gli appuntamenti decisivi di queste ultime settimane. E pure non si sente e legge altro che di ipotesi di rinnovi, ritocchi agli ingaggi, premi a rendimento (promessi non si sa bene da chi e perchè), come se l’unico obiettivo di questi “signori”, fosse il raggiungimento di uno status economico da “top player”, solo sulla carta o sul conto in banca, visto che anche quest’anno di titoli nemmeno l’ombra…

CAPITOLO 2 – L’allenatore, Spalletti o l’ombra di se stesso? Forse la delusione più grande e in questo caso le considerazioni sono tante, non basterebbe un unico articolo per analizzare il modus operandi del toscano: come è possibile che un tecnico così preparato sul piano tattico, che nonostante le difficoltà di un mercato estivo non eccezionale, dopo esser riuscito a trovare una formula per far rendere la Roma a livelli importanti, si sia incartato a tal punto da arrivare al paradosso di cambiare nella stessa partita tre moduli tattici, senza capire come attaccare una squadra chiusa nella propria metà campo e intenta solo a ripartire con due- tre calciatori? Come è possibile che un allenatore così esperto, alla soglia dei 60 anni, abbia speso inutilmente energie nervose per instaurare un’insana e controproducente guerra intestina con la stampa locale o parte di essa, dando la sensazione di allenare più i suoi rancori, che i calciatori in campo? Come è possibile che sia passato nel giro di poche settimane dal “resto solo se vinco” a “il secondo posto è il nostro Paradiso, e potrebbe far cambiare idea sul futuro” ad obiettivi sostanzialmente sfumati? Insomma la confusione di Spalletti appare evidente a migliaia di km di distanza, ma a Boston forse non se ne sono resi conto…

CAPITOLO 3 – La società, “Avanti un altro…”?
S
e dopo sei anni di gestione, con un Presidente assente, un vicepresidente travestito da consulente personale di Pallotta, allontanato tre anni fa ma mantenuto sotto traccia per muovere i fili dirigenziali della Roma con base operativa a Londra, un A.d. arrivato dall’esperienza ultra ventennale del Milan che non si comprende ancora quale reale ruolo decisionale abbia all’interno di Trigoria e ora un ds spagnolo chiamato a rivoluzionare tutto, in sostituzione di un altro ds dimessosi ad ottobre a stagione in corso e sua volta sostituito pro tempore da un ottimo osservatore e scopritore di talenti, ma evidentemente incapace ancora (perchè inesperto) a gestire uno spogliatoio da oltre 110 milioni di euro di ingaggi… non si riesce a concludere un’annata in maniera soddisfacente, se non si riescono ad alzare titoli (anche quelli minori), se mediamente dopo 1 anno e mezzo i cicli tecnici vengono rivoluzionati, evidentemente trattasi di un’organizzazione che non funziona, che non produrrà mai risultati realmente importanti e duraturi con questa impostazione, che vede in pochi anni salire a oltre 20 professionisti (con l’arrivo di Monchi) il numero dei dirigenti che si sono alternati a Trigoria senza conquistare risultati concreti.

EPILOGO – Per buona pace di chi continua a sostenere che il male della Roma è l’ambiente, la comunicazione esterna e di chi, dopo l’ennesima cocente batosta di domenica, chiede ancora allo stesso ambiente di compattarsi intorno alla squadra per raggiungere questo “straordinario” obiettivo del 2° posto (ricordando agli stessi che la Roma negli ultimi 16 anni è arrivata nove volte seconda), la valutazione a conclusione è chiara: il virus che attanaglia la Roma da anni e che ancora nessuno è riuscito a debellare, è dentro Trigoria, non fuori e la sensazione nitida è che al bene primario, al bene della Roma, non ci stia pensando nessuno…

 

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