Il nuovo orizzonte della Roma

Il nuovo orizzonte della Roma

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EDITORIALE CGREzra Pound sosteneva che “se un uomo non intende correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui”. Paulo Fonseca ha corso dei rischi tangibili, nel momento più delicato della sua avventura romana, per imporre una nuova, definitiva, svolta tattica. Il lusitano ha messo in discussione le sue certezze e quella difesa a quattro che lo accompagna da sempre, convincendo i suoi della bontà del suo lavoro e della sua capacità di modulare il sistema tattico per delineare un percorso migliore. La necessità era chiara, forse già prima dello stop causa Covid, quando la mutazione tattica stava prendendo forma: dare alla Roma una nuova veste. La terza da inizio stagione, sintomo di grande intelligenza e duttilità.

Da oltre tre mesi Fonseca ha in animo un cambio di modulo, che potesse abbinare due elementi fondamentali in una squadra che vuole emergere nel calcio moderno: equilibrio ed aggressività. Fattori che, combinati con i giusti meccanismi, fruttano risultati, prestazioni e miglioramenti sensibili anche nei singoli. Quei singoli, che con errori individuali a volte ai limiti del calcio amatoriale  (ultimo quello di Spinazzola ieri sera) hanno evidentemente inciso in maniera negativa su un’altra stagione intrisa di un triste refrain ‘vorrei ma non posso’.

Dopo la mortificante sconfitta casalinga contro l’Udinese di Gotti, Fonseca ha affrontato l’avvilente desertificazione della sua Roma, non scappando, ma irrorando nuove idee e nuovi concetti. Il passaggio a tre dietro, per dare maggiore stabilità difensiva; due esterni larghi ‘tutta fascia’, motori dello sviluppo della manovra; due trequartisti con la libertà di svariare ma anche il compito di ripiegare per fare superiorità a centrocampo. Tre semplici direttrici che hanno tracciato una nuova strada, da perseguire per il presente (finale di campionato e campagna Europea) ma anche per il futuro.

Se la resa finale di questa svolta darà una stabilità al gruppo, Fonseca proseguirà su questa linea, indirizzando così anche le scelte di mercato. Raramente come in questa occasione, chi sarà chiamato a costruire la Roma 2020-2021 dovrebbe già avere chiaro l’orizzonte: in difesa, oltre al riscatto di Smalling, le conferma di Mancini, la scoperta di Ibanez e la rivitalizzazione di Kolarov, servirebbe almeno un quinto centrale che sappia abbinare fisicità, marcatura e aggressività.

Urgono poi investimenti importanti sugli esterni di centrocampo, problema che attanaglia la Roma da quasi un decennio al netto di alcune rare scoperte (Emerson Palmieri). Spinazzola – se assistito da una buona condizione fisica – è forse l’unico a poter rendere con continuità in quel ruolo, al netto di alcuni errori da cancellare prontamente. Il prototipo è chiaro: esterni di fascia indistruttibili, modello Atalanta. A centrocampo i due mediani devono assomigliare più a Veretout che agli altri. L’optimum sarebbe un ‘tuttocampista’ di grande intelligenza tattica e resistenza fisica. Nella batteria dei trequartisti poi, scremata dalle probabili cessioni dei vari Under, Kluivert e Perotti, la conferma di Mkhitaryan, il rilancio di Pellegrini, l’arrivo di Pedro e il lancio definitivo di Perez, oltre al recupero di Zaniolo rendono già così il reparto completo e impreziosito da alternative diverse. Il rebus vero è sul centravanti, o meglio sulla coppia di attaccanti: la posizione di Edin Dzeko sarà valutata a fine stagione, tra ingaggio pesante e lusinghe meneghine. L’addio del bosniaco imporrebbe un investimento pesante, magari su un centravanti con caratteristiche diverse: meno classe ma più ferocia agonistica e aggressione alla profondità. Il problema è chi e come farà il prossimo mercato, visto l’ampio deficit di bilancio e l’instabilità della proprietà. Ma questa è un’altra storia.

 

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