In una parola, anzi tre: Diego Armando Maradona 

In una parola, anzi tre: Diego Armando Maradona 

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All’alba in Argentina, in un pieno pomeriggio di novembre, freddo ma non freddissimo, in Italia. Il mondo si è fermato. I primi messaggi social, l’incredulità, la speranza di pochi ma infiniti istanti, riposta nella solita sgradevole fake news. Il Clarìn però non sembra dare scampo: “Muriò Diego Armando Maradona”. Forse mai, come ieri, si è compresa veramente la sconfinata potenza del web. Il mondo si è fermato, sgomento, dinanzi al pensiero di aver perso il più grande calciatore della storia, forse lo sportivo più iconico e controverso, paragonabile solo a Mohamed Alì. Un annus horribilis che si porta con sé anche il Dies, lasciando indietro lacrime, cuori spezzati e rimpianti. Di chi come il sottoscritto, non lo ha visto dal vero, perchè nato tra la fine degli anni 80 e l’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso. Un’intera generazione per la quale Maradona rappresenta un ricordo da ricostruire. Un ossimoro, ma anche la pura realtà. Come un quadro di Picasso, una scultura di Michelangelo, un’opera di Shakespeare, una sinfonia di Beethoven. Al cospetto di queste meraviglie, le sue giocate erano e saranno in eterno cultura calcistica sì, effimera materia che accompagna le nostre vite mortali, ma sempre frutto di un dono del cielo, da conoscere, vivere, apprendere e se possibile tramandare.

Video, filmati e racconti: è facile immergersi nel mondo di Maradona, scoprendo ad ogni passo un centimetro in più della sua storia, quasi con l’esigenza di colmare un vuoto esistenziale, per chi ama questo sport al di là di una palla che rotola. Perfino gli aneddoti di chi lo ha visto anche solo per un minuto, da vicino o da lontano, che importa. Diego è stato lo spartiacque tra il mitologico e rimpianto calcio anni 80′ e l’inizio dell’era dello star system, del business, dei ‘super calciatori’.E’ morto Dio“‘, tracimante e quasi unanime è la reazione dell’intero pianeta, ai suoi piedi, in particolare quel sinistro magico, inebriante, vellutato, profondo come l’anima di un uomo dalle mille fragilità. Ribelle e fautore della riscossa del sud del globo al cospetto del nord, impersonificato negli yankee americani. Ha vissuto non una ma dieci vite sussurra chi lo ha conosciuto, ma c’è da scommetterci, tutte d’un fiato. Ha sfidato a tratti le leggi della fisica, discutendone variabili di spazio e tempo, con gesti tecnici impossibili da replicare. La sua unicità risiede proprio in questo: nessun accostamento possibile, forse qualche assonanza con Leo Messi, ma è impossibile pensare che nasca un altro Diego. Fenomeno in campo, attrazione costante fuori, show man, leader mai silente, uomo generoso, costellato da inquietudini dell’anima che forse lo hanno logorato più di quanto nessuno mai capirà. Si è spento pochi giorno dopo aver compiuto 60 anni e aver ricevuto il tracimante amore del mondo intero, che ieri si è fermato nuovamente. Un colpo al cuore di Buenos Aires e di Napoli, riversatesi in piazza a dispetto del Covid per mandare verso il cielo il proprio saluto. Non Barcellona, dove Maradona ha lasciato un’impronta ridotta rispetto al suo sterminato talento, per colpa della logica mercantile catalana, troppo algida e fredda per l’animo caliente di Diego che aveva, il trascendente bisogno di calarsi nelle viscere di popoli che lo hanno poi incoronato imperatore. Il ‘pueblo‘ come il tango argentino ballato in occasione del gol del secolo, siglato contro l’Inghilterra nel Mondiale 86’. Riscossa, rivoluzione, vittoria, conquista. In una parola, anzi tre: Diego Armando Maradona. 

 

 

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