Lamela: il Barcellona lo voleva, il River lo tenne. Ora c’è la...

Lamela: il Barcellona lo voleva, il River lo tenne. Ora c’è la Roma

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IL ROMANISTA (V. VALERI) – Chissà che vita farebbe oggi Erik Lamela, se sette anni fa avesse insistito con Josè, il papà panettiere, per accettare la super offerta del Barcellona:

12mila euro al mese di stipendio, un contratto con la Nike solo da siglare, lavoro assicurato per i genitori e scuole di grido ai fratelli Axel e Brian, quattro anni più grande e fin da ragazzino amatissimo dalle coetanee: la sua strada non è sul campo erboso, ma sui palcoscenici della tv e sulle copertine patinate. Impossibile dare una risposta certa, ma probabilmente Erik Lamela, trequartista mancino classe 1992, sarebbe già una stella del calcio spagnolo, forse qualcuno lo eleggerebbe a gemello sportivo di Lionel Messi e chissà cos’altro.

IL BARCA SFIORATO Quando aveva appena 12 anni, infatti, molti emissari provenienti dalla Liga misero gli occhi su di lui in Galizia, durante un torneo amichevole al quale prese parte anche il River Plate. Fisico gracilino, forse un po’ troppo innamorato della palla, ma videro in lui un talento che covava; a volerci mettere le mani per primo fu il club blaugrana, ma la dirigenza dei “Millonarios” si oppose, minacciando anche azioni legali in sede Fifa. Non fu tanto difficile convincere Erik che rimanere a Buenos Aires era la scelta migliore, quanto papà Josè e mamma Miriam, che dopo quel rifiuto fecero una richiesta precosa: «Una percentuale sulla vendita futura di nostro figlio e una borsa di studio per i fratelli». Detto, fatto: il 20% del cartellino del giovane fantasista andrà a loro. Lamela ha iniziato a tirare calci al pallone nella squadretta di periferia del Pedro Lozano a Villa Devoto, quartiere residenziale più verde della capitale, costruito interamente dall’imprenditore italiano Antonio Devoto che, arrivato in Sudamerica per rifarsi una vita, sul finire del XIX secolo è giunto anche a dirigere il Banco Immobiliario.

GLI ESORDI NEL CLAUSURA Il River nota sin dall’inizio questo bambino di Carapachay – 18 chilometri dal centro città – , lascia che faccia esperienza in giro per Buenos Aires vestendo diverse maglie, poi lo tessera e se lo coltiva in casa proteggendolo dalle sortite dei grossi club del Vecchio Continente. Il 13 giugno del 2009, diciassettesima giornata del Torneo Clausura, il mister Gorosito sostiuisce Roberto Flores con Lamela, a dieci minuti dalla fine del match casalingo contro il Club Atletico Tigre, vinto dal River 3-1. Il Monumental applaude Flores, autore di un gol e un assist, ma da quel giorno scoprirà un nuovo idolo. Le sue scorribande a tutto campo infiammano i tifosi, perché Erik sulla palla sembra danzarci: la tocca piano, con la suola sinistra, ondeggia sulle gambe e disorienta il difensore, spesso tenta – riuscendoci – irridenti tunnel. E sa proteggere bene la sfera, grazie a un fisico che da gracilino diventa ben piazzato: 184 centimetri per 70 chilogrammi. Il movimento che fa per allontanare l’avversario ricorda vagamente Antonio Cassano: bacino abbassato, sedere all’infuori e braccia larghe con il piede che tiene a terra il pallone. L’impressione che desta nello staff tecnico è molto buona, l’impatto con i grandi non è stato traumatico, così Lamela prosegue la sua fase d’inserimento in prima squadra. La prima da titolare è nel settembre scorso, poi arrivano anche i gol: al Colon, al Lanus e all’Huracàn, ex squadra di Javier Pastore, un altro al quale Erik viene accostato quotidianamente.

I PARERI DEGLI ESPERTI Come ogni “prodotto” di qualità, è necessario che qualche esperto si esprima sul suo conto. A farlo per primo è stato Stefano Borghi, cronista di Sportitalia e conoscitore del calcio argentino, seguendone l’evoluzione in diretta. «Lamela è potenzialmente un giocatore da top 5 – ha dichiarato a Radio Ies e Tele Radio Stereo – . In Argentina la stampa è convinta che possa diventare presto il nuovo numero 10 della Selecciòn, ha grosse doti in quel piede sinistro. A mio parere deve essere più lucido sotto porta, ma per il resto mi sembra già pronto. Un tridente con Pastore e Totti? Assisteremmo alla quintessenza del calcio giocato». Sulle possibilità che arrivi in Italia e in particolare a Roma, Borghi frena: «Il River rischia la retrocessione – spiega il telecronista – e vuole tenerlo fino alla fine del campionato. Annunci ufficiali di un suo trasferimento, prima di un mese e mezzo, non ce ne saranno. Si creerebbero problemi nello spogliatoio». Diego Macias, giornalista sportivo di Olè, conferma il forte interesse verso il trequartista: «Il River ha scoperto un campione – ha dichiarato in esclusiva a Calciomercato.it – , qui tutti ne sono convinti. So per certo che i colloqui tra il suo entourage ed emissari italiani sono cominciati tre settimane fa e alla fine il River lo venderà, perché il club di Passarella versa in difficili condizioni economiche. Però per me non si muoverà prima del prossimo gennaio, essendoci di mezzo anche la Libertadores».

I TIFOSI LO CHIAMANO Su Facebook ci sono oltre cento pagine dedicate a Erik Lamela. Una di queste, con 312 fan, lo colora già con la maglia giallorossa. In un’altra, ben più frequentata, i romanisti gli mandano messaggi di stima: «Erik vieni a Roma e diventerai il migliore!», scrive Domenico. Andrea, invece, posta una bellissima foto della Curva Sud e si esalta immaginando un’accoppiata con il Capitano. Sul suo profilo, invece, molti connazionali gli fanno i complimenti per il gol all’Huracàn e, più recentemente, per l’esordio con la sua nazionale contro il Paraguay. Un esordio assoluto, perché Lamela, che tutti chiamano ormai El Coco (il cocco della squadra) non ha mai giocato nelle selezioni giovanili albicelesti, non ha preso parte ai Mondiali Under 17 né Under 20. Per tutti è un genio, un fenomeno, il nuovo Messi o un altro Pastore: Erik Lamela, probabilmente, è solo un ragazzo che ha appena compiuto 19 anni, cerca la ragazza giusta e sogna di duettare con Messi, suo idolo di sempre. Forse tra qualche mese cambierà maglia, ma la spiaggia dove va in vacanza è sempre la stessa, insieme a tutta la famiglia. Parola di chi lo conosce da quando non era ancora El Coco.

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