L’anno sotto zero

L’anno sotto zero

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EDITORIALE CGR – A mente fredda, paradossalmente, fa anche più male. Non solo perché l’Atalanta, rimontando la Roma, si è portata a +7 punti in classifica, mettendo quasi in ghiaccio la qualificazione alla prossima Champions League ma soprattutto perché a Bergamo, sotto i colpi di Palomino e Pasalic (non Salah o Firmino), la squadra giallorossa è riuscita a scrivere, forse, la pagina più triste degli ultimi anni e dell’infruttuosa era Pallotta. Non conta il risultato più o meno fragoroso, la competizione o la qualità dell’avversario, conta il messaggio finale, che traspare alla lettura dei titoli di coda. Sul piatto giallorosso della bilancia, alla Gewiss Arena, solo il valore economico reale o presunto dei calciatori in campo. Una summa troppo squilibrata rispetto all’organizzazione, la qualità, la furia agonistica, e i valori complessivi di una squadra, quella nerazzurra, che in questi anni ha sorpreso se stessa l’Italia e l’Europa grazie un progetto sportivo.

Ecco la parola “progetto” declinata, declamata, dipinta, sbandierata, urlata, raccontata e svilita in questi ultimi otto anni da una società incapace di mettere al primo posto l’organizzazione calcistica e la continuità. La pagina più triste sì, perché se per il secondo anno consecutivo davanti a te rischia di arrivare una società che porta un nome lontano anni luce dal tuo, con una storia lontana anni luce dalla tua, che spende un terzo di quello che nuovamente tu hai investito, faticosamente, tra mille rinunce e mille polemiche,  per tentare di rincorrere invano un semplice quarto posto, significa che più qualcosa è stato sbagliato. Altro che anno zero, anno sotto zero e tale sarà la situazione finché non sarà finalmente fatta tabula rasa. Il tentativo di Fonseca e Petrachi di costruire un gruppo coeso, cementato intorno ad un’idea di calcio credibile e al pensiero del ‘noi valiamo più dell’io’, stava producendo i suoi frutti: alla 17ª giornata del nostro campionato la Roma aveva 11 punti in più rispetto alla scorsa stagione quando per un solo misero punto, la squadra giallorossa non si qualificò alla massima competizione europea. In sette partite quella stessa Roma è stata capace di autodistruggersi, dilaniando il vantaggio costruito nei mesi precedenti ma soprattutto abbattendo quel muro di credibilità che era stato eretto con enorme fatica dopo gli scarsi risultati della scorsa stagione. Da +11 a -2 rispetto alla scorsa ridicola annata, vissuta quasi tutta in apnea, un ruolino di marcia che vedrebbe oggi la Roma lottare tristemente per non retrocedere.

E allora si torna all’inizio: la rincorsa dell’utopia, i proclami, i noiosi giochi dell’oca, i ritorni e le partenze dolorose, l’insostenibile leggerezza di sentirsi appagati nonostante la pancia sia vuota da un bel pezzo. Dinamiche trite e ritrite, analizzate, viste e riviste, insomma la nitida immagine del nulla calcistico. Serviranno anni conditi da idee, capacità gestionale, investimenti corretti e oculati, per ricostruire la parvenza di una squadra di calcio realmente competitiva e non supposta sulla carta, la maledetta carta che ammalia questa città da anni, che fa gridare al fenomeno ai primi abbagli di luce e alla pippa alla prima caduta. Serviranno anni per definire un gruppo di lavoro in grado finalmente di dare stabilità e cancellare la mediocrità di queste ultime malinconiche stagioni. Serviranno anni per dare non più l’idea ma la certezza che, alzandosi le maniche della giacca, chi indossa la divisa societaria della Roma a tutti i livelli sia realmente capace di ricostruire, mattone dopo mattone, la propria credibilità agli occhi di una tifoseria rassegnata e sfiduciata che attende il passaggio societario come l’eldorado.

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