Le ambizioni mortificate

Le ambizioni mortificate

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ZEMANCORRIERE DELLA SERA – G. TOTI – Di colpo, in pochi giorni, è cambiato il vento. E, senza quasi che ce ne accorgessimo, ha spazzato via qualche sogno e tante ambizioni. Oggi si fanno i conti con uno scenario fortemente ridimensionato (la Lazio) e con un altro addirittura compromesso forse in modo irrimediabile (la Roma). Per non parlare del crollo in Borsa, giusto ieri, delle azioni delle due società. La Lazio ha rallentato il passo in campionato e perso i suoi due giocatori più rappresentativi: Klose (due mesi fuori) e Hernanes (un mese). L’immobilismo del presidente Claudio Lotito sul mercato di gennaio, sordo a tutte le richieste del suo allenatore, sarà pagato pesantemente da qui al termine della stagione.

Dunque, dal sogno — appunto — di anti-Juve in chiave scudetto, ora la squadra di Petkovic sente la terra tremare sotto i piedi. Il terzo posto, buono per la Champions League, con le due sconfitte nelle ultime due gare è divenuto più fragile e scricchiola sotto la rincorsa del Milan. Che adesso può atteggiarsi a squadra favorita, malgrado i tre punti di svantaggio dai biancocelesti (40 contro 43), grazie all’arrivo di Mario Balotelli e anche — perché no — al peso politico infinitamente più «rilevante» di quello della Lazio. Un elemento che conterà, in qualche modo, quando sarà il momento. Eppure non finisce qui. Perché le ultime notizie dalla procura di Cremona, circolate proprio ieri, relative all’inchiesta sul calcio scommesse, sembrano rendere il quadro attuale ancora più cupo.

Sei ore di interrogatorio di Carlo Gervasoni avrebbero infatti appesantito la posizione di Stefano Mauri, il capitano bianco-celeste indagato per due partite (Lazio-Genoa e Lecce Lazio) della stagione 2010-2011, truccate secondo le ipotesi accusatorie. E così, l’aria elettrica che si respirava neanche una settimana fa, dopo la finale di Coppa Italia conquistata trionfalmente con la vittoria sulla Juventus all’Olimpico, sembra avere smarrito gran parte del suo incanto. Il rischio, ora, è che quel traguardo — pure prestigioso — diventi una sorta di consolazione. Da teatro dell’assurdo la situazione della Roma. Paradossale sino all’inverosimile. Precipitata repentinamente dal sogno della zona Champions all’incubo, nell’abisso di una crisi grave di gioco e di risultati. Ha cambiato — con colpevole ritardo — il tecnico e ora deve restituire in fretta, se ne sarà capace, almeno dignità e un obiettivo – l’Europa League – a un percorso che altrimenti avrà solo il sapore della sopravvivenza.

Ad Aurelio Andreazzoli, sconosciuto al grande pubblico ma stimato nell’ambiente (specie a Trigoria), l’ingrato compito di rimettere in piedi la squadra massacrata da Zeman. Che a dispetto delle «vedove» tutte impegnate — incomprensibilmente — a stracciarsi le vesti, ha lasciato la Roma all’ottavo posto, con la miseria di 31 punti ottenuti sul campo, 9 sconfitte in 23 giornate e 42 gol subiti. Certo, le colpe non possono finire tutte sulle spalle del boemo. I responsabili principali di questo sfacelo sono semmai i dirigenti: che non solo dovevano esonerarlo prima, quando Zeman ha cominciato a «sparare» contro i suoi giocatori per giustificare gli insuccessi. Ma non dovevano proprio prenderlo otto mesi fa. Tecnico sopravvalutato e non più al passo con i tempi. Che corrono sempre. E molto più velocemente di lui.

 

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