Ma quale cantera: la grande illusione della Giovine Italia

Ma quale cantera: la grande illusione della Giovine Italia

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marquinhos6-e1345727796940LA REPUBBLICA – A. CAROTENUTO – C’è un velo che copre il ritardo del calcio italiano dal resto d’Europa. I gol di El Shaarawy, i dribbling di Insigne, le discese di De Sciglio, le parate di Perin. Riempiono gli occhi e nascondono la verità. Danno l’illusione che la serie A sia cambiata, che abbia davvero trasformato in Grande Occasione la Grande Crisi. Era il ritornello intonato quest’estate di fronte alla fuga dei grossi nomi all’estero (Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, e mettiamoci pure Ramirez, Nastasic e Borini): che opportunità, si diceva, per i nostri giovani. Ma cinque mesi dopo, il divario con il calcio degli altri — Germania in testa — è ancora tutto qui. Se un’occasione era, l’Italia la sta sprecando.

Lo dicono i ricercatori del Cies Football Osservatory presso l’Università di Neuchatel in Svizzera, che con il loro studio demografico sui campionati europei smantellano mattone per mattone convinzioni e illusioni. E se appena si azzardano paragoni con i parametri di quella Germania che ha stregato Guardiola, allora il confronto è crudele. Abbiamo limato di 6 mesi l’età media delle nostre squadre portandola a 27,07 anni, eppure siamo rimasti tra i più vecchi: solo Cipro sta peggio (28,29 anni). Guardando le rose non c’è un solo club italiano fra i 20 più giovani del continente, mentre la Germania ne ha quattro fra i primi 10: il Werder Brema è 2° (dietro gli olandesi dell’Ajax) con una media di 23,5 anni; l’Hoffenheim è 5° (23,9 anni), poi vengono il Leverkusen (6°, media di 24,2 anni) e il Borussia Dortmund (9°, media di 24,4 anni). Cioè le due grandi rivali del Bayern, le più vicine inseguitrici in classifica. Segno che in Bundesliga ci si rinnova senza smettere di essere competitivi. La età media del torneo è di 25 anni, due in meno che da noi. Se il panorama è questo, i sei mesi di gioventù recuperati dalle squadre italiane sono una beffa, una foglia di fico. Non solo. Il modo in cui la serie A se li è tolti di dosso, dovrebbe un poco preoccupare. A leggere lo studio del Cies, il taglio d’età è arrivato più grazie all’ingaggio di nuovi stranieri ragazzini (i Pogba, Savic, Quintero, Juan Jesus, Marquinhos) che per l’investimento nei settori giovanili.

Un’operazione di lifting, non una semina. Tanto che per la prima volta la percentuale di stranieri nel nostro campionato è salita sopra la soglia del 50%. Abbiamo imparato a pronunciare benissimo la parola cantera, ma l’Italia è ultima in Europa nella percentuale di calciatori promossi dal vivaio alla prima squadra: solo il 7,8% (—2% rispetto a tre anni fa). La Germania? Ne ha il doppio. L’Italia invece continua a preferire il mercato. Transazioni, movimenti, scambi. Agenti, procuratori, mediatori. Ogni squadra compra in media 13 giocatori all’anno, in Germania cinque di meno. Comprare, poi, ma cosa? Di certo non più i tedeschi. Arrivarono in 27 nei decenni d’oro del nostro calcio, soprattutto arrivarono i migliori: Rummenigge, Hansi Müller, Matthäus, Klinsmann, Brehme, Sammer, Völler, Effenberg. Oggi Klose (preso in scadenza di contratto) è un’eccezione. Quei campioni che partivano da Monaco negli anni ‘80 e cercavano la grande vetrina internazionale, ora restano a casa loro. La trovano lì. Dove gli stadi sono pieni e producono ricchezza per il Paese. «L’espansione economica del nostro calcio è al servizio del bene comune», si vanta giustamente Reinhard Rauball, presidente di Lega. Secondo il Report Bundesliga 2012, i club tedeschi s’indebitano per 40 euro ogni 100 incassati. In Italia ne incassano 100 e ne impegnano 156. Inoltre la Bundesliga garantisce 40mila posti di lavoro (110mila compreso l’indotto) e produce introiti fiscali allo Stato per 719 milioni di euro l’anno. Così i tedeschi restano a casa loro. E si prendono pure Guardiola.

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