Osvaldo, il capocannoniere

Osvaldo, il capocannoniere

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IL ROMANISTA (V. VALERI) – L’urlo verso la curva dei tifosi giallorossi dice tutto. La grinta in quell’esultanza tutta grinta e nervi, i capelli sciolti e spettinati, i pugni chiusi a incitare quei pochi – ma tanti! – riusciti ad arrivare a Parma: «Daje Roma Daje!» sembrava voler dire, e forse l’ha detto. Pablo Daniel Osvaldo, 25 anni, nato a Buenos Aires ma naturalizzato italiano, attaccante che Luis Enrique sta utilizzando ogni partita nonostante le critiche e i dubbi.

Due gol in quattro presenze, il primo all’Olimpico contro il Siena giovedì scorso, mettendo il piede al momento giusto, d’istinto. Il secondo domenica a Parma, da vero centravanti, con un colpo di testa angolatissimo e beffardo, come il movimento che ha ingannato Paletta e lo ha liberato per colpire indisturbato. Una rete fondamentale, decisiva, foriera di punti e soddisfazione: «Il gol lo dedico a mia moglie e a mia figlia, che mi guardano sempre», ha detto Pablo dopo il match. Il suo mondo sono loro, le donne della sua vita, niente a che vedere con le dinamiche così terrene e poco sentimentali di un calcio che non dà troppe seconde chances. Lui, che ha rischiato di bruciarsi presto in Italia per colpa di un carattere focoso e schietto, da vero argentino, con la maglia giallorossa vuole smentire tanti feedback negativi sul suo conto, facendo ricredere soprattutto quegli allenatori che non lo hanno valorizzato, tantomeno aspettato.

Primo su tutti Giuseppe Papadopulo, che nel 2007 subentrò a Zdenek Zeman sulla panchina del Lecce e mise fuori Pablo. Il 4-3-3 del boemo si addiceva paticolarmente bene alle doti del ragazzo, fisicamente piazzato ma agile e veloce, bravo ad accompagnare con dinamismo l’azione, dando più di un’alternativa agli esterni alti pronti a mettere la palla in mezzo. Ma col nuovo tecnico, meno aperto calcisticamente, la storia si fa diversa e le porte si chiudono. Così per Osvaldo comincia il pellegrinaggio: è a metà con l’Atalanta, che lo riscatta e lo cede alla Fiorentina. Prima stagione in A, l’occasione di farsi notare in una piazza importante ma difficile, con lo spettro di Batistuta ad aleggiare sulla sua testa; con Cesare Prandelli il rapporto è altalenante, anche gli infortuni impediscono un suo impiego costante, e poi la concorrenza di Mutu e Gilardino è tosta. Nell’unica vera soddisfazione vissuta in viola risiede anche la più grande amarezza: segna una rete decisiva alla Juventus il 2 marzo 2009, ma esultando – con tanto di mitraglia sotto la Fiesole – si leva la maglietta dimenticandosi di essere già ammonito. L’espulsione è una beffa, la società lo punisce con una multa, con qualche compagno non c’è molta simpatia, l’addio è una conseguenza inevitabile. A gennaio si accasa al Bologna, Mihajlovic lo vuole per farlo giocare titolare, ma i rossoblù partono male, così la nuova società in mano ai Menarini esonera il tecnico serbo e chiama Papadopulo.

Quasi ci fosse un’antipatia a pelle nei suoi confronti, l’allenatore lo mette fuori dall’11 titolare e anche la storia con il club emiliano naufraga, spegnendosi a gennaio della stagione dopo. Lo accoglie la Spagna, la Catalogna per la precisione, dove l’Espanyol fa di lui un attaccante maturo, apprezzato a livello internazionale e amato dai tifosi. Mister Pochettino se lo coccola come può, e Pablo ripaga con 20 gol in 44 presenze. Un bottino che sarebbe stato ancora più ingente se non si fosse infortunato prima della pausa invernale dell’ultima stagione. Seguito dal Tottenham a maggio, quasi comprato dall’Atletico Madrid ad agosto, l’attuale numero 9 giallorosso in questo scorcio di avventura romana si è visto piovere addosso critiche da ogni angolo: «Ha tradito la fiducia dei tecnici che hanno creduto in lui quando non era nessuno», disse uno dei consiglieri del club catalano, Collet, che aggiunse: «Non meritava di rimanere, se n’è andato per soldi». Chissà se qualcuno avrà spiegato al vulcanico Collet che l’Espanyol non è il Barcellona e che nel calcio i professionisti vanno dove ricevono l’offerta più adeguata. Nel frattempo, però, Osvaldo qui a Roma si sta prendendo i suoi spazi. Solo lui, Totti e De Rossi sono stati utilizzati da Luis Enrique per tutti i 90’ minuti (e recupero) in queste 4 partite di campionato. E la fiducia inizia ad essere ripagata

 

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