Pjanic: “Voglio restare a Roma e vincere. Erede di Totti? Tutti lo...

Pjanic: “Voglio restare a Roma e vincere. Erede di Totti? Tutti lo sognano”

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ROMA  CSKA MOSCA

Questo un estratto dell’intervista rilasciata da Miralem Pjanic al portale Ultimouomo.com: «Da bambino Zizou, Zidane. Da avversario mi piace molto Pirlo, è sempre difficile giocare contro di lui, fa la differenza, è elegante. Forse in generale nel calcio di oggi quello che mi piace di più è Xavi, per lo stile. Perché sono intelligenti. Mi piacciono i calciatori che riflettono quando giocano. Si capisce se un giocatore sa riflettere o no. E questi tre vedono cose che gli altri non vedono.»

La sua storia comincia con un aneddoto così da romanzo che gli devo chiedere se è vero: «Sì, sì. È vero. È andata così: mio padre aveva chiesto due volte i documenti per andare a giocare in Lussemburgo e avevano rifiutato di darglieli. Era un calciatore, giocava nel Drina Zvornik. Così la terza volta siamo andati con mia madre. Io ero in braccio a lei e quando mia madre ha iniziato a piangere, perché continuavano a rifiutarsi di darci i documenti, mi sono messo a piangere anche io. Abbiamo impietosito l’uomo davanti a noi che ci ha detto: Va bene, lo faccio per il bimbo». (Pjanic parla cinque lingue e ogni tanto le mischia, in questo caso ha detto che il tipo che non gli dava i documenti “ha avuto male al cuore”, che è una traduzione letterale dal francese tanto sbagliata quanto poetica.)

(….) Il dualismo con Gourcuff si è riproposto a Roma, secondo alcuni commentatori con Totti. Come se due giocatori con così grande qualità fossero troppi, come se ogni pallone toccato da Totti (a cui Pjanic si riferisce con il diminuitivo “Checco” che, mi pare, a Roma ormai non usi quasi più nessuno) fosse un pallone in meno per Pjanic. «Sì e no. Checco gioca in un ruolo diverso, Gourcuff è più il mio ruolo. Non è stato un anno molto felice, positivo, e quando dovevo scegliere di venire Roma ho tenuto conto anche di questo. Ma qui è diverso. Con Checco ci troviamo bene in campo, capiamo i movimenti l’uno dell’altro». Forse è anche merito dell’abitudine: «È la quarta stagione che giochiamo insieme. Io so molto bene come gioca lui, lui sa molto bene come gioco io. Quando vedo che lui viene un po’ più basso, vado io più alto. So come lui vuole la palla… ci capiamo, è diverso e mi sento molto bene come gioco adesso».

Nel 4-2-3-1 della Bosnia Pjanic ha giocato sia nella coppia di centrali che come trequartista, ma non esita neanche un secondo a dirmi qual è secondo lui il suo ruolo: «Il mio posto è dove gioco adesso. La mezzala in un 4-3-3. In un centrocampo dove gestiamo la partita, dove abbiamo sempre il possesso, senza paura di tenere la palla. Questo è il mio gioco. E gioco con calciatori straordinari che capiscono davvero molto di calcio. È facile giocare in questo modo, quando il Mister ti chiede di giocare in questo modo».

ROMA  CSKA MOSCA «Secondo me Zeman è un bravo allenatore. Forse però voleva un certo tipo di giocatori che non aveva qui. Forse dovevamo giocare in un’altra maniera, perché i giocatori a disposizione facevano un altro tipo di gioco. Lui chiede spesso ai centrocampisti di buttare la palla in avanti, di verticalizzare, sempre. A me piace giocarla come la sento io. Come mi chiede il Mister adesso: Fai quello che senti perché tu sei quello che decide, tu devi fare il tuo gioco. Questo mi dice Garcia oggi. È completamente diverso. Non è che non me la sentivo di buttarla dentro, a volte però pensavo che la soluzione migliore era un altra. La differenza oggi è che mi sento molto più libero»

Il sistema di Rudi Garcia – «La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri»). Pjanic, invece, sembra aver trovato la propria libertà nell’organizzazione di gioco di Rudi Garcia: «Abbiamo le idee molto più chiare. Sappiamo come vuole che giochiamo. Siamo molto più forti tatticamente, equilibrati. Sappiamo i compiti di tutti, e se uno non è al suo posto c’è qualcun altro che lo copre, ci battiamo l’uno per l’altro, corriamo, diamo una mano a quello che magari è meno in forma. È tutta la squadra che fa la differenza, e questo è lo spirito che il Mister ha portato con sé».

l 2013, il lato oscuro della passione sportiva a Roma: «Lo conosco, ma anche il Mister l’ha visto. Quando è arrivato ho un po’ gli ho spiegato com’è qua la situazione, com’è l’ambiente. Il Mister è un uomo molto in gamba, ha capito subito la situazione e ha lavorato subito sull’aspetto psicologico perché venivamo da una stagione molto difficile. Certa gente ama quando qualcosa va male, per questo accentua gli aspetti negativi, per far male alla società, ai giocatori. Ma io so che quando ho giocato ho sempre dato il 100%. A volte non puoi dare tutto quello che vuoi. È la vita dei calciatori. Noi proviamo sempre a dare il massimo e i tifosi hanno tutto il diritto di essere arrabbiati quando in due stagioni arrivi quinto o sesto. Non sono stagioni da Roma, è normale che protestano. Adesso siamo lì dove dobbiamo essere e vogliamo portare gioia ai nostri tifosi».

Dopo il gol vittoria di Parma, Totti lo ha chiamato “il nostro principino” e qualcuno a Roma si chiede se non possa essere il bosniaco il suo erede: «Come posso essere l’erede di Totti? Tutti sognano di essere l’erede di Totti ma non è facile. Totti è Totti, è qualcosa di più del solo calcio. Ha fatto la storia del calcio italiano, è una leggenda. È bellissimo il fatto che non abbia mai cambiato maglia. Ha avuto fortuna, a non dover mai cambiare maglia». Gli chiedo se è possibile identificarsi con una squadra, con una città, anche solo dopo un paio di stagioni. «Perché no? Il calcio è cambiato e a volte sono le società ad aver bisogno di soldi, non è sempre il calciatore che va via. Io ho avuto l’opportunità di andar via, però mi sento così bene che, mi chiedo, perché devo andar via se amo questa squadra, se amo questa città e voglio vincere qui?».

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