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FOCUS CGR Venerdì 6 marzo 2020. Mentre in Italia si cominciava a fare i conti seriamente con l’invasione del Covid-19, i tifosi giallorossi attendevano con ansia notizie da New York sul passaggio di proprietà del club, dalle mani di James Pallotta al Gruppo Friedkin. Dopo quasi cinque mesi di trattative, incontri, due diligence, accordi verbali e lettere d’intenti, era stato redatto un comunicato finanziario sul quale andavano apposte solo cifre e condizioni contrattuali. L’esplosione della pandemia, il rischio crollo dei mercati finanziari statutinetensi, del blocco dei campionati (poi materializzatosi dopo poche settimane) e delle relative gravose perdite economiche ha interrotto sul più bello un iter, di fatto, sostanzialmente concluso e costretto i legali del club ha riporre, virtualmente in un cassetto, il comunicato di annuncio delle firme sui contratti preliminari. Un venerdì nero per la storia recente della Roma, che ha acuito ancora di più le criticità finanziarie di una società che negli ultimi due anni, complici anche risultati sportivi decisamente al di sotto delle aspettative, ha visto sgretolarsi il tanto sbandierato ‘percorso virtuoso‘. Dall’inizio dell’era americana, la società giallorossa infatti ha quasi sempre speso più di quanto incassasse, ma le straordinarie capacità di Walter Sabatini di fare economia, migliorando contestualmente ogni anno la competitività della squadra, hanno mantenuto in piedi un club che si è fondato per quasi un decennio sulla rischiosa logica del trading, raggiungendo l’apice nella semifinale di Champions. Da lì in poi però il crollo è stato costante e quasi sistematico, sia sul campo, sia in bilancio, a causa anche di scelte dissennate sul mercato operate dall’ex ds Monchi, con costi – tra ammortamenti e monte ingaggi – cresciuti del 60-70% rispetto al 2016-2017. Oggi la Roma si trova in un imbuto e il futuro tecnico è avvolto in una vera e propria nebulosa. 

SEMESTRALE E DECRETO LIQUIDITA’ – La situazione dei conti infatti è rimasta cristallizzata al 6 marzo e oggi lo scenario sul breve termine appare decisamente compromesso. Dall’analisi dell’ultima semestrale approvata dal club emergono diversi punti critici: la perdita di 87 milioni (che in proiezione potrebbe superare quota 110 milioni), l’indebitamento finanziario monstre salito a quota a 278,5 milioni di euro, il crollo dei ricavi (da 134 milioni a 97 circa) complice la mancata partecipazione alla Champions League, la necessità di completare la ricapitalizzazione già azionata nei mesi precedenti e coperta solo in parte, per evitare rischi maggiori. Su quest’ultimo tema c’è da chiarire però che il c.d. Decreto Liquidità, varato dal governo italiano per fronteggiare l’emergenza Covid-19, ha neutralizzato per le S.p.A. gli effetti dell’articolo 2447 c.c.: di fatto dunque non vi è obbligo di ricapitalizzare, come da previsione di legge generica, fino al 31 dicembre 2020 e le società non rischiano fino a quella data di portare i libri in tribunale. Nella relazione finanziaria allegata al bilancio semestrale del club, c’è tutta l’evidenza di questa situazione, ove si scrive che “alla data di approvazione della relazione Finanziaria l’azionista di riferimento ASR SPV LLC, per il tramite della controllante NEEP, ha già versato l’importo complessivo di 89,1 milioni di euro e la società non ritiene necessari ulteriori provvedimenti”. (Comunicato finanziario del 30 aprile 2020). Gli azionisti, in primis James Pallotta, hanno già versato nelle casse del club 89 milioni dei 150 previsti circa un anno fa. Operazione che era stata inclusa ovviamente nel prezzo di vendita della holding, pari a circa 700 milioni di euro.

Come sempre avvenuto in questi anni, per gli obblighi di trasparenza e corretta informazione agli azionisti e al mercato, la società ha chiarito negli ultimi comunicati finanziari che al netto della possibilità di effettuare nuovi versamenti nelle casse del club, l’unico modo per recuperare liquidità è operare “la cessione degli asset aziendali disponibili, ed in particolare dei Diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori”. In buona sostanza ricorrere alle plusvalenze da calciomercato, con un enorme punto interrogativo: visto il blocco dei campionati e la possibilità che la Serie A riprenda a metà giugno e si concluda a fine luglio, la prossima finestra di mercato estiva non sarà ufficialmente aperta prima di agosto e la società non potrà sfruttarla per tamponare le perdite di questo bilancio. La parziale sospensione degli obblighi legati al Fair Play Finanziario, posticipati di un anno, consentiranno però alla Roma di chiudere senza sanzioni il bilancio con gravose perdite, ma nell’annualità 2020-2021 bisognerà rientrare di una cifra stimata intorno ai 180 milioni. Di fronte a questo scenario è del tutto evidente che la Roma oggi non possa escludere cessioni eccellenti di pezzi pregiati come Zaniolo e Pellegrini, ma se l’obiettivo di fondo resta la cessione della società, dismettere i migliori calciatori provocherebbe un ulteriore ridimensionamento tecnico e di conseguenza una svalutazione del prezzo del club.

CESSIONE, UNICA VIA D’USCITA – Sempre nell’ultima relazione finanziaria si assicura che sono “ancora in corso i contatti con un potenziale acquirente (Friedkin), anche se ovviamente rallentati dalla diffusione della pandemia”. E su questa frase si fonda la speranza dei tifosi ma anche degli azionisti di maggioranza del club. Nell’attuale scenario mondiale nessun potenziale investitore acquisterebbe la Roma (vista l’attuale situazione debitoria e l’imprevedibile scenario sportivo) al prezzo pattuito ad inizio anno. Il presidente Pallotta –  apparso decisamente nervoso a marzo per la mancata felice chiusura del deal e che a domanda precisa rispondeva con un sibillino ‘ask Friedkin’ – è stato investito recentemente da una class action dei piccoli azionisti di As Roma Spv LLC (veicolo societario americano che controlla a cascata la costellazione di società giallorosse), che sostengono di esser stati potenzialmente frodati nell’ambito del percorso di vendita e spingono da mesi per ottenere indietro, quanto gli era stato promesso. Oggi la Roma non vale 700 milioni, probabilmente neanche 620-640, cifra che il consorzio americano considera il punto limite per evitare di non rientrare di quanto investito finora nel business capitolino. Nel frattempo, mentre si attendono nuovi segnali da Houston, ove l’interesse di Friedkin non è mai del tutto tramontato, la banca d’affari Goldman Sachs (che ha garantito l’emissione del bond da 275 milioni) come avvenuto a settembre, si è rimessa a lavoro per rintracciare sul mercato internazionale potenziali acquirenti (non soci di minoranza) interessati al business giallorosso. Voci accreditate da Boston sostengono che il presidente e gli altri soci di maggioranza sarebbero entrati nell’ordine di idee di abbassare il prezzo complessivo dell’asset (a quota 500-520 milioni) agevolando così la propria uscita di scena, nella consapevolezza che investire ancora nella Roma porterebbe solo ad una ulteriore remissione, considerato anche il nuovo rallentamento dell’annoso capitolo stadio a Tor di Valle. Per questi motivi è improbabile che Pallotta e co. versino altro denaro nelle casse della Roma fino a dicembre 2020, attendendo notizie liete da Goldman. La Roma dunque resta in vendita e si cercherà una soluzione fino al termine dell’anno, con la necessità nel frattempo che Petrachi operi una drastica riduzione dei costi, portando avanti un piano di plusvalenze massiccio che però non intacchi il valore complessivo di una rosa che, se non riuscirà a centrare quest’anno la Champions (potenziale -7 dall’Atalanta quarta) dovrà rientrarci a tutti i costi il prossimo. E i tifosi, che non torneranno all’Olimpico fino al nuovo anno, attenderanno col fiato sospeso l’evolversi degli eventi…

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