Roma, la sindrome d’appagamento e l’anno zero

Roma, la sindrome d’appagamento e l’anno zero

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EDITORIALE CGR – Il mitico Sherlock Holmes, dinanzi al ‘caso Roma‘, farebbe fatica ad esclamare la fatidica frase “elementare Watson”, perchè di lineare, semplice, oggettivo nell’emisfero giallorosso c’è davvero poco. Il problema è mentale ha più volte dichiarato un trasfigurato Fonseca, al termine di Sassuolo-Roma. Nelle 48 ore successive dunque tutti hanno cercato di capire che cosa sia scattato nella testa di una squadra che non più tardi di una settimana fa, con la stessa formazione, la stessa impostazione tattica, le stesse strategie, era stata capace di annichilire la Lazio, reduce da 12 vittorie nelle ultime 13 partite di campionato. Un derby senza vittoria, è vero, probabilmente enfatizzato all’eccesso, ma un derby giocato con tutti i c.d. sentimenti al posto giusto. Ardore, vigore fisico, concentrazione massima, attenzione ai minimi dettagli, qualità e quantità. Valori che al Mapei Stadium sono finiti colpevolmente nel dimenticatoio o nell’insolita vasca stracolma di pesci rossi al di sotto del settore ospiti, albergato da 2 mila tifosi appassionati, che dopo ogni gol subito hanno alzato i decibel dei cori, nel tentativo – vano – di svegliare gli anemici calciatori giallorossi.

ESISTENZA FENOMENICA – La domanda dunque torna in auge: che cosa accade alla Roma? Ma soprattutto, qual è la vera Roma? Un film già visto sussurra qualcuno, cadute e risurrezioni continue, la parvenza di un gruppo solido, che si scioglie alle prime difficoltà. Dichiarazioni di fine gara fuori posto da parte di alcuni protagonisti, nuove – presunte – divisioni interne tra senatori (appassiti) e giovani (acerbi). Il mercato, panacea di tutti i mali, che si trasforma in campagna indebolimento dopo appena 20 minuti di gioco. Gli addii dolorosi, i dirigenti assenti dinanzi ai microfoni, per non parlare del presidente (che si fatica a definirlo tale vista la perdurante assenza dalla capitale da oltre 600 giorni). Un coacervo di elementi, che dipinge l’ennesima stagione da girone infernale. Oggi a Trigoria, dopo un giorno di immeritato riposo, la squadra sarà tenuta a rapporto da Fonseca e domani emergeranno le solite, insulse frasi, già lette e rilette nell’ultimo decennio, della serie “non possiamo più sbagliare”, come se ciò che fosse andato già disperso fino a questo momento, non pesi già sull’andamento complessivo della stagione. Ripartire dalla realtà è doveroso: la Roma di Firenze aveva convinto tutti o quasi che si stesse costruendo un progetto tecnico di livello, nonostante le mille difficoltà, gli infortuni e un depauperamento evidente della rosa rispetto a due anni fa. Poi un inizio 2020 da incubo: 4 sconfitte in 7 gare ufficiali, 10 gol fatti a fronte dei 18 segnati nelle sette sfide precedenti prima della sosta invernale, 13 gol subiti a fronte degli appena 5 incassati da una difesa che sembrava aver trovato l’equilibrio definitivo. Un quadro generale sconfortante, che alcuni riducono nuovamente e scioccamente al famigerato ‘ambiente romano’, reo di aver dedicato più spazio in questi giorni all’addio di Florenzi, alle necessità del mercato di riparazione o al pensiero che presto possa sopraggiungere una nuova proprietà più facoltosa dell’attuale, dimenticando il campo, dimenticando il Sassuolo. La sensazione vivida è che per l’ennesima volta, chi doveva prioritariamente pensare alla gara di Reggio Emilia, preparandola con la giusta attenzione, al netto di strategie, cambi, disposizioni tattiche, abbia pensato di dedicarsi ad altro, appagato da un’ottima prestazione in un derby. La sensazione è che la Roma renda solo quando è in una condizione disperata o quando l’impegno che ha dinanzi a sé pare insormontabile. Al contrario, il calo di concentrazione risulta quasi sistematico quando invece dovrebbe avere il vento in poppa, a seguito di uno o più risultati positivi. Ecco, la sindrome d’appagamento, il vero male atavico di una squadra che non conosce il dolore della sconfitta e che non percepisce l’importanza della maglia che indossa. E per fortuna che era l’anno zero… 

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