Roma, Pallotta dice quasi tutto

Roma, Pallotta dice quasi tutto

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IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) – Nel mondo dei cinguettii, ecco l’epistola. Che fa effetto, è gradita, anche se non c’è contraddittorio. E questa è una mancanza. Jim Pallotta manda per un giorno in pensione il messaggio breve WatshApp e scrive un capitolo di un libro sulla Roma. Le mie colpe, possiamo sintetizzare così la lunga lettera rivolta ai tifosi giallorossi. Che tutti avranno avuto modo di leggere, perché partita dal sito del club e finita su resto del mondo web. Come in ogni trattato, ci sono punti un po’ claudicanti. Il primo che ci viene in mente è su Daniele De Rossi, che Jim chiama confidenzialmente Daniele. La spiegazione che dà dell’addio è molto tecnica, fredda, non da uno che vuole bene a Daniele. Ma da presidente a calciatore. Punto.

LA RISORSA SFUGGITA – Eccola. «Mi piacerebbe avere Daniele in squadra, ma avendo due giocatori per ruolo, se l’altro si fa male la Roma è fregata. È un ragionamento semplice». Semplicistico anche. Forse, proprio perché si trattava di Daniele, un’eccezione si poteva fare: nella rosa sarebbe stato comunque una risorsa. «Vogliamo che Daniele faccia parte di questo club per sempre. Non essere presente all’ultima sua partita è stata una scelta difficile da prendere. Era la sua serata e volevo che nulla distraesse da questo. Contestatemi, va bene ma non volevo sottrarre l’attenzione dalla celebrazione della sua fantastica carriera». Convince poco anche questo, ovvero il motivo con cui giustifica l’assenza dalla serata dedicata a De Rossi, Roma-Parma. Apprezzabile invece, quando ammette l’errore di essere poco presente nella capitale. «Come sapete, non sono venuto a Roma nell’ultimo anno. Ero così arrabbiato, già da agosto (in più lo stadio che non decolla, ndr), per come le cose stavano andando che temevo che la mia presenza non sarebbe stata d’aiuto. Questo è stato un grave errore, la prossima stagione ci sarò. Avrei dovuto essere di più a Roma». Finalmente. Non è semplice farsi apprezzare dalla gente, specie in questo momento di grande impopolarità. Chi è stato definito fucking idiot forse non perdonerà, nonostante la lettera, che va considerata comunque una falcata verso il consenso. Errore non venire a Roma, errore prendersela solo con Monchi per l’ultima stagione, da lui stesso definita «disastrosa». Monchi ha colpe, ma possibile solo lui? I dirigenti sono tanti, le scelte non possono essere attribuite soltanto a uno. Il ds spagnolo, colpito della dichiarazioni di Jim, non ha replicato. Ma ha subito esposto via social i trofei vinti. Pallotta spiega, e qui gli crediamo, che nella Roma non c’è stata alcuna fronda verso l’allenatore, Di Francesco. Che lo stesso De Rossi – che ha chiesto scusa dopo lo sfogo per l’acquisto di Nzonzi – e gli accusati hanno tutti remato dalla stessa parte. Ok, ma la talpa chi è? E che ne facciamo ora? Qualche danno, con quella mail, l’ha combinato, o no? Del resto lui stesso ammette: «Fare una grande squadra, creare una cultura e una tradizione vincente non potrà mai dipendere mai da una sola persona». Una sola, nel bene e nel male. Monchi, come detto, ha commesso tanti errori, che Pallotta racconta: «Mi ha chiesto il cento per cento del controllo. Non avrei dovuto lasciargli tutta questa autonomia. La squadra non si adattava bene al gioco di Di Francesco. Alla fine della sessione di mercato, ho osservato i nostri movimenti e mi sono reso conto che non avrebbero funzionato». Squadra sbagliata, sempre sostenuto. Ora siamo in buona compagnia.

FRANCO E CHECCO – Pallotta non accenna al futuro, che è ciò che interessa più ai tifosi. Non spiega perché la Roma oggi non ha appeal per gente come Conte o per Gasperini; non spiega come rinascerà la sua Roma, che dice di amare nonostante la distanza oceanica. Così come dice di apprezzare Di Francesco, vittima di Monchi, e uomo «di classe». A questo punto, lo riprenda. Non ci dice se ci saranno investimenti o se sarà ridimensionamento, ci racconta che metterà mano all’area tecnica e introdurrà nuovi talenti (Petrachi, uno di questi, ndr). Parla di Baldini («Franco è un mio consigliere e confidente e non ha mai fatto nulla a scapito di questo Club. Se pensate che Franco sia coinvolto in tutte le decisioni, allora vi sbagliate di grosso») e di Totti («la sua maturità, le sue intuizioni e la sua competenza, nel confronto con me e con Fienga riguardo un potenziale candidato alla panchina, sono state più utili dei consigli di chiunque altro»), che aspetta anche una carica vera. Il finale è sul futuro, ma non nello specifico. «A noi interessa solo costruire una Roma grande e vincente: io non andrò da nessuna parte, niente e nessuno mi impedirà di perseguire questo obiettivo». Come? Alla prossima lettera, magari.

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