Roma: parte la rivoluzione, c’è un caso Vucinic

Roma: parte la rivoluzione, c’è un caso Vucinic

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REPUBBLICA.IT (M. PINCI) – Un sipario nerazzurro ha chiuso, ieri notte all’Olimpico, la stagione della Roma. Da qui al 22 maggio, l’appendice di 6 gare che nonostante speranze e illusioni serviranno soltanto come intermezzo per i tifosi delusi in attesa di un nuovo atto: il primo della nuova Roma americana, nata a Boston ma ancora in attesa di vedere la luce. Anche per questo, è già iniziata la rivoluzione.

RIVOLUZIONE – Roma-Inter ha sancito la fine di un gruppo capace di sfiorare due volte il titolo ma ormai logoro, nel fisico e nella testa. Mexes ha salutato con la Roma ancora in corsa per l’Europa (lo attende il Milan), Vucinic e Menez sono al capolinea di un’esperienza vissuta sempre in altalena tra gloria e peccato. Come loro, alcuni senatori (Perrotta, Cassetti, Taddei, Riise, Juan, Doni) che a questa squadra hanno dato tutto e per questo non hanno più nulla da offrire. Senza però che alle loro spalle la gestione uscente abbia saputo inserire gradualmente elementi capaci di non farli rimpiangere. Così, il ricambio necessario assume i tratti più decisi di uno sconvolgimento indispensabile ma – per tempi, costi, e opportunità – difficilmente attuabile in una sola estate.

CASO VUCINIC – Il simbolo dello stato in cui versa la Roma di oggi è proprio Vucinic: due gol sbagliati a porta vuota a distanza di 4 giorni, un record per un attaccante che nelle ultime 3 stagioni ha realizzato 50 gol. “In questo periodo Mirko non è tranquillo”, conferma Montella. Il motivo? L’ambiente ha rotto con lui e lui, uomo immagine della squadra che sfiorava il titolo, ha fatto trapelare in ogni modo la sua voglia di lasciare Roma. Le valige le avrebbe fatte già a dicembre, quando chiese ai dirigenti di partire. In quel momento, il Tottenham bussava proponendo a Vucinic il quadriennale della vita e 10 milioni alla Roma. Fu Ranieri a chiudere la porta, acutizzando la frattura con l’attaccante. A cui il cambio di proprietà non ha restituito serenità, anzi: la fiducia e stima dei futuri padroni l’ha vissuta con il timore di essere bloccato nella capitale, infrangendo i suoi sogni di Inghilterra e le sue promesse all’Inter. Forse, la prima grana che i nuovi manager Usa dovranno risolvere, insieme al contratto di De Rossi: fosse per lui non si muoverebbe mai da Roma. Il rinnovo non semplice, le richieste di garanzie tecniche, le sirene di Real e Chelsea, potrebbero però spingerlo lontano da Trigoria.

NOVITÀ – Proprio per questo, è già iniziato il lavoro di Walter Sabatini, l’uomo a cui il gruppo americano ha scelto di affidare il mercato della Roma, e quello di Franco Baldini, la mente che dovrà occuparsi della ricostruzione sportiva della squadra. Ancora nessuna certezza sulla guida tecnica a cui affidare la Roma di domani, però. Ancelotti guarda altrove (Madrid) e non convince, Montella sembra aver esaurito il bonus, mentre il futuro di Guardiola sembra (sembra) destinato a rimanere blaugrana altri dodici mesi. Sono passati quasi due mesi dall’incontro dell’attuale general manager della nazionale inglese con Villas Boas a Oporto. Incontro soddisfacente ma, forse, arrivato in ritardo: si parla di un accordo tra un club di Premier League (Liverpool o Chelsea) e il tecnico con portoghese. Che, però, assicura di non aver avuto “nessun contatto con la Roma finora, né con altri club”. Intanto, però, prendono forma alcuni obiettivi di mercato. Pastore è il pallino anche se Zamparini prova a chiudere: “Con 40 milioni si prende solo la scarpa destra di Javier, me lo voglio tenere”. Ma il giocatore è legato a Sabatini da un rapporto che va oltre quello lavorativo e da una promessa di ritrovarsi in una big. Quello che vuole essere la Roma americana.

CRISI DI VOCAZIONE – Con la crisi di risultati, che ha fatto perdere alla squadra il treno per la prossima Champions League, la Roma di oggi ha logorato il proprio patrimonio non solo tecnico, ma anche passionale. Perché se è vero che le tre sconfitte interne consecutive hanno ridimensionato il valore dei singoli elementi, sono servite anche per svuotare, numericamente e non solo, lo stadio Olimpico. Solo 24 mila spettatori ieri, sotto la media di una stagione comunque da cancellare con appena 33 mila tifosi a partita sugli spalti e 18 mila tagliandi per match venduti. Una vera crisi di vocazioni: neanche i fischi – sempre più timidi – che accompagnano la squadra all’uscita dal campo fanno più rumore. Un ambiente, e non una sola squadra, che Tom DiBenedetto, Jim Pallotta e soci dovranno ricostruire integralmente. La missione è già iniziata.

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