Roma, tra lo spauracchio 30 giugno e le plusvalenze: dal 2012 ad...

Roma, tra lo spauracchio 30 giugno e le plusvalenze: dal 2012 ad oggi 491 milioni totali. Nel 2018-19′ sono 131,5 Mln

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FOCUS CGR – La scadenza dell’oramai fatidico e famigerato 30 giugno, scandisce in maniera inesorabile, la prima fase del mercato italiano, con corse, incontri, vortici e possibili scambi paragonabili a ciò che accade da sempre nelle ultimissime ore della finestra estiva dedicata ai trasferimenti.

La As Roma anche quest’anno non si è potuta sottrarre alla necessità di sistemare il deficit di bilancio attraverso le cessioni dei propri ‘asset strategici’. Francesco Totti, lo scorso 17 giugno, nel corso della sua conferenza stampa d’addio ai colori giallorossi, aveva affermato con forza l’obbligo della Roma di realizzare una cifra tra i 50 e i 60 milioni di euro di plusvalenze e tale, effettivamente, è stata. Con gli addii di Kostas Manolas (36 milioni cash di cui 32 di plusvalenza), Luca Pellegrini (22 milioni di cui 21 plusvalenza) e i giovani Romagnoli e Ponce (totale 3 milioni circa di plusvalenza) solo negli ultimi 10 giorni la società di Trigoria ha maturato una di plusvalenze complessiva pari a 58 milioni a cui vanno aggiunti nell’annualità di bilancio (partita dallo scorso 1 luglio 2018) anche le maxi operazioni che hanno portato Kevin Strootman a Marsiglia (per una plusvalenza di 18 milioni) e Alisson al Liverpool (57,5 milioni). Dunque consuntivo finale che sfiora i 132 milioni di plusvalenze, messe a bilancio nell’annualità 2018-2019.

Lo scorso anno, sempre al 30 giugno, grazie alle cessioni di Emerson, Nainggolan, Mario Rui, Skorupski e Tumminello, Monchi e co. avevano sistemato il bilancio (su cui però insistevano i preziosi ricavi legati al raggiungimento della semifinale di Champions League) con 63,5 milioni di plusvalenze. In assoluto il club di James Pallotta dal 2012 ad oggi ha contabilizzato plusvalenze per cessione dei ‘diritti alle prestazioni sportive’ dei propri tesserati, pari a ben 491 milioni di euro.

La Roma da sempre opera attraverso il trading di calciatori per sostenere i costi di un’azienda, cresciuta in alcuni settori (quello commerciale con circa 30 milioni annui in più nell’ultimo bilancio) ma non a tal punto da sostenere l’impatto di un monte ingaggi quasi sempre vicino ai 100 milioni di euro annui (con costo del personale complessivo pari a 170). Recentemente il CEO Guido Fienga aveva preannunciato nel corso dell’assemblea degli azionisti la necessità di realizzare “operazioni di cessione degli asset che dovrebbero generare dei ricavi”. Affermazioni che seguono quelle del vicepresidente Mauro Baldissoni (in parziale contraddizione), che nel corso dell’intervista-risposta a Totti rilasciata a Sky Sport, aveva però parlato a più riprese di un club sano e risanato dalla proprietà USA. A bilancio però rileva una cifra imponente alla voce ‘indebitamento finanziario’ (in costante aumento) pari a circa 200 milioni di euro, per la maggior parte derivanti dal finanziamento sottoscritto con Goldman & Sachs nel 2014, poi esteso – per entità e data di scadenza – al 2022. Nella prossima stagione la Roma, come noto, non disputerà la Champions League e dunque rinuncerà ai circa 70-80 milioni di ricavi legati alla partecipazione alla massima competizione internazionale. L’Europa League, immaginando un percorso netto con approdo in finale genererebbe una cifra vicina ai 30-35. Dunque il disavanzo sarà evidente e salvo nuove strategie o ricavi commerciali (al momento non previsti) la Roma dovrà nuovamente ricorrere allo strumento principale per salvaguardare la redditività del proprio bilancio: la cessione dei propri asset-calciatori. Ma questa strategia quanto e soprattutto quando renderà la Roma realmente competitiva per vincere un trofeo?

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