Roma, uno scudetto nel cuore

Roma, uno scudetto nel cuore

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394184_503076693086483_2020780095_nCORRIERE DELLO SPORT – L. FERRAJOLO – L’aereo si posa dolcemente su Ciampino proprio mentre parte la sigla della Domenica Sportiva. Ci fanno scendere alla svelta, ma loro, i campioni, restano a bordo. Troviamo subito il vecchio pullman guidato dal mitico Freddi, ci portano a bordo e lì capiamo che sta succedendo. Migliaia di persone assediano l’aeroporto, ma questo ce lo aspettavamo. Invece su un piccolo televisore portatile, che Ettore e Riccardo ostentano come un prezioso gioiello, riusciamo a sbirciare la scena: il presidente Andreotti sale a fatica ma sorridente la scaletta e viene inghiottito dall’aereo. (…)

La festa, in verità, è incominciata da un pezzo. Dal sabato mattina in quel ritiro di Santa Margherita, che il Barone adora per gli alberghi un po’ snob e polverosi e soprattutto per le grandi mangiate di pesce. Non è una vigilia di ansie, tantomeno di paura. E’ una vigilia di certezze. Al Genoa basta il pari per salvarsi, alla Roma per trionfare. Non si faranno mai del male e infatti segna subito lui, il bomber, dopo un quarto d’ora. Prima che finisca il tempo, Fiorini pareggia. La ripresa è una sciarpata collettiva sulle tribune, una melina festosa in campo. Il momento più difficile arriva quando D’Elia fischia la fine. Mentre Liedholm viene sballottolato dai suoi senza rispetto, simulando a stento il suo disagio in quel caos poco svedese, per arrivare in campo e poi negli spogliatoi, bisogna passare da un cancello stretto, che la folla abbatte subito col suo incontenibile entusiasmo. Rischiamo un po’ tutti di essere travolti, salviamo la pelle, con noi il vice presidente Guidi, che però non salva il suo ben fornito portafogli. Nella buca infuocata degli spogliatoi lo scudetto si materializza tra gavettoni e scene di ordinaria follia, Persino Ago, uno che misura parole e gesti come il respiro, si abbandona felice. La Roma è campione d’Italia.

Non è uno scudetto qualsiasi, arriva due anni dopo il gol annullato a Turone e le solite beffe arbitrali. Dopo la polemica sui centimetri che Viola alimenta con veleno e la Juve irride con l’arroganza dei forti. Boniperti domina anche il mercato, ha appena soffiato Boniek al rivale, sfruttando la presenza della Fiat in Polonia. E poi ci ha aggiunto un francesino di nome Platini. E’, dunque, uno scudetto speciale perché spezza un lungo dominio, finalmente ribalta i rapporti di forze. Due sono i grandi architetti di questo scudetto romanista. Il primo è, appunto, Dino Viola che sfida la Juve con risorse modeste, ma con una determinazione feroce. Con intelligenza e mosse geniali, con la furbizia di chi deve vincere sapendo che parte con l’handicap. L’altro è Nils Liedholm, il più grande tecnico che abbia mai avuto la Roma. E’ avanti di decenni il grande Nils, costruisce con qualche campione, molti giocatori di buona qualità e qualche comparsa, una squadra perfetta, equilibrata, elegante. Gioca a zona, mentre gli altri marcano ancora a uomo, col terzinaccio sull’ala. Si inventa un libero come Agostino, che in realtà diventa il regista arretrato, il play maker da cui parte l’azione. E si inventa anche Vierchowod accanto ad Ago, perchè solo il russo con quei recuperi pridigiosi può consentire una soluzione del genere. Il centrocampo è uno spreco di fosforo, da Falcao, fuoriclasse infinito, al giovane e tosto Carletto Ancelotti, per finire con quel ricucitore prezioso ed elegante di Prohaska. (…)

Ecco perché la gente sta impazzendo. Quando Freddi riesce faticosamente a pilotare quel pullman colmo di adrenalina e di gioia sull’Appia, nessuno crede ai propri occhi. La strada è sparita, solo un mare di gente. Le ragazze mandano baci generosi, i pischelli si arrampicano sul bus. Pensi: va bene, prima o poi finirà. E invece niente, così sino alla fine. Ci vogliono tre ore piene per arrivare all’hotel Villa Pamphili, dove mogli e fidanzate eccitate aspettano i loro eroi. Si procede a passo d’uomo per chilometri e chilometri, tra il generale stupore. Bruno Conti piange di gioia come un bambino, è il più emotivo del gruppo. Ha appena vinto un mondiale, ma l’ha già dimenticato. Ago è finalmente felice come gli capita raramente, tutti si spiattellano sui vetri per salutare la gente, per ricambiare l’abbraccio. Arriviamo a Villa Pamphili verso mezzanotte, stremati, appena in tempo per correre al telefono e dettare i pezzi, perché i cellulari non li hanno ancora inventati. La città è completamente paralizzata da cortei e caroselli, dai tuffi nelle fontane, Roma si scollaccia senza ritegno sino a notte fonda. (…)

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