Roma&Eusebio: i tre giorni per dirsi addio

Roma&Eusebio: i tre giorni per dirsi addio

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IL MESSAGGERO (S. CARINA) – «Aspettiamo mercoledì». È quanto trapela off record dall’incontro andato in scena sabato sera, nel post-derby, tra la dirigenza giallorossa (Baldissoni, Monchi, Balzaretti, Fienga, Massara e Totti). Colloqui proseguiti anche nella giornata di ieri che non cambiano la situazione: Di Francesco è nuovamente in bilico. Anzi, mai come stavolta rischia la panchina. La gara di Oporto – e la conseguente qualificazione ai quarti di Champions – è la ciambella alla quale aggrapparsi per tenersi stretto la Roma. Almeno sino a fine stagione. Poi le strade dovrebbero comunque separarsi. E poco importa se Eusebio taglierà il traguardo tra le prime quattro in campionato e per il secondo anno consecutivo sarà tra le migliori otto d’Europa. Il rapporto è ormai logoro. Tra tecnico e presidente (che negli ultimi interventi pubblici non lo ha mai menzionato), tra allenatore e parte della squadra. Nel secondo caso, nessun ammutinamento per carità ma le classiche dinamiche all’interno di uno spogliatoio quando le cose non vanno bene. Con una connotazione tecnica da non sottovalutare: la rosa preferisce giocare con il 4-2-3-1 piuttosto che con il 4-3-3. Lo aveva fatto presente dopo il ko di Bologna (23 settembre) e anche nelle ultime settimane ha lanciato nuovamente segnali in questo senso. Non che un modulo possa fare la differenza in un’annata che anche con questo assetto di gioco ha visto continui alti e bassi. Ma un’indicazione precisa di come la rosa faccia fatica a seguire l’allenatore. Che mercoledì, dopo averlo già fatto in corsa contro la Lazio, dovrebbe nuovamente andare incontro ai calciatori.

IN CORSA – C’è una frase, pronunciata nel post-derby da De Rossi, che fa intendere perché – in caso di eliminazione dalla Champions – la Roma è pronta a cambiare: «Dobbiamo preparare al meglio la prossima partita e passare il turno in Champions, così che anche la nostra testa possa cambiare la visione di questa stagione». Il timore della dirigenza è proprio questo. L’Europa è il collante che tiene in piedi il gruppo. Senza, il rischio di naufragare in campionato e perdere il quarto posto (ora a -3) è ritenuto altissimo. Per questo motivo, anche se la volontà del club sarebbe quella di arrivare a fine maggio e poi attuare l’ennesima rivoluzione, sono stati riallacciati i rapporti con Paulo Sousa. Il portoghese, dopo aver atteso invano una chiamata sia a fine settembre che il giorno di Roma-Genoa, è vicinissimo a firmare con il Bordeaux. S’è preso però tre giorni di tempo, sino a mercoledì (atteso al Do Dragao per assistere al match della Roma). Tempistica che non può essere un caso. Il tecnico lusitano aspetta la Roma. Il problema è contrattuale: Sousa è restio a subordinare l’accordo, con durata sino al 2020, al quarto posto in campionato. Ipotesi che, pur di rientrare in grande stile in serie A, sarebbe disposto ad accettare Donadoni. Nelle ultime ore il nome dell’ex ct è tornato d’attualità. Un’altra opzione è Panucci, attualmente ct dell’Albania, già sondato a dicembre. Ma anche l’ex giallorosso chiede di potersi giocare la chance di allenare la Roma il prossimo anno, arrivando in questa stagione tra le prime quattro. E se questa è la conditio, le scelte potrebbero essere diverse.

IL GIORNO DELLA MARMOTTA – A Trigoria è intanto andato in scena l’ennesimo giorno della marmotta. Incontro tecnico-squadra con i soliti appunti legati all’approccio mentale e alle letture tattiche sbagliate durante il derby, già evidenziate sabato sera: «La cosa che tutti devono capire che se non difendi in un certo modo fatichi anche ad attaccare. Non si deve pensare solo ad una fase». Dopo aver optato per il no al ritiro, in mattinata c’è stato anche un colloquio con la dirigenza che ha chiesto a Di Francesco se avverte che la squadra sia ancora dalla sua parte. La risposta è stata positiva ma per la prima volta dall’inizio della stagione, il tecnico è apparso visibilmente provato, consapevole di essere un uomo solo. Anche chi lo ha sempre difeso appare in difficoltà. Si torna quindi al punto di partenza: la sliding-door è Oporto. Dentro o fuori. In tutti i sensi.

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