Luciano il “picconatore” e il decalogo dei vincenti (AUDIO)

Luciano il “picconatore” e il decalogo dei vincenti (AUDIO)

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Alla fine della partita c’eravamo cascati, nuovamente, quasi tutti. 2-0, immeritato come all’andata quando l’arbitro c(i)eco – di nome e purtroppo di fatto – aveva negato due rigori solari alla squadra giallorossa, anche al ritorno il verdetto finale del Bernabeu è troppo doloroso per quanto dimostrato.

Una Roma che esce a testa alta da Madrid, almeno nel giudizio complessivo delle due prestazioni, totalmente diversa da quella che in maniera vergognosa aveva affrontato la Champions League nel recente passato, prendendo schiaffi a tutte le latitudini, dal gelo di Borisov allo spettacolo circense del Camp Nou, che questa volta ha affrontato i Ronaldo boys senza timori reverenziali, meritando molto più dello zero nella casella dei gol segnati.

Quattro, cinque palle gol nitide, solari, almeno un paio che hanno visto un pallone con su scritto “da spingere in rete”, finire senza una logica spiegazione sull’esterno della rete.

Coraggio? Si, dignità? Altrettanto, carattere e barlumi di crescita, si sono condensati in due match, che si spera lasceranno più segni positivi che negativi nella storia, la seconda storia giallorossa targata Spalletti.

Ci eravamo ricascati dicevamo, perché poi come accaduto in precedenza, per troppo amore o forse per disabitudine alla vittoria, ci siamo messi lì a farci “massaggini mentali” (Spalletti dixit), a cercare piccole grandi attenuanti, che sommate e messe vicine come sassolini creano un enorme masso, che inevitabilmente ti trascina sul fondo di un mare, apparentemente calmo, ma che infingardo ti inghiotte nella mediocrità.

Abituati colpevolmente a dichiarazioni di circostanza di chi, sconfitto e spesso umiliato, non trovava altri argomenti utili dinanzi ai taccuini se non quelli del tipo “troppi forti per noi, marziani di qua, fenomeni di là, abbiamo dato il massimo, mancava questo mancava quell’altro, c’è da lavorare, dobbiamo rialzarci…”

Parziali e inutili giustificazioni che assumono le sembianze di pericolosi alibi, simili a catene che ti stritolano in una morsa asfissiante.

E quando pensi, che tutto sommato, la tua vera dimensione in questo momento non sia un quarto di finale di Champions League, che CR7 segna e segnerà a tutti senza distinzioni di colori, razze calcistiche o provenienze, al netto del rimpianto per le tante occasioni malamente sciupate ad un passo dalla gloria e delle pesanti assenze, arriva lui, Luciano il “picconatore”, che spazza via gli indugi, i tentennamenti, il “volemose bene” di un ambiente assuefatto da troppo tempo alla mediocrità e con dichiarazioni forti, apparentemente ingenerose, ma reali, crude, finemente astute e fredde, scava un solco forse indelebile tra la mentalità perdente di ieri (si spera) e quella vincente di domani (forse).

“Abbiamo perso 2-0 all’andata e 2-0 al ritorno, quindi zitti e tutti a casa. Se pensate che dopo una partita come questa io venga qui a fare i complimenti ai miei giocatori allora non cresceremo mai come mentalità e convinzione. Quella di stasera è un’occasione persa, quando entri nello spogliatoio e vedi giocatori predisposti a ricevere complimenti per la prestazione, mi viene un malessere difficile da superare. Bisogna crescere velocemente, fare dei balzi in avanti, non dei passettini, perchè siamo la Roma, come sento dire nell’ambiente giustamente, ma bisogna anche dimostrarlo…”

Le ascolti, le rileggi e non puoi non essere d’accordo. Dopo le tante imprecazioni spese vedendo e rivendo le occasioni sciupate a due passi da Navas, provi finalmente un senso di esaltazione ascoltando le parole di un mister, che non “ce sta“, come si dice a Roma, e che richiama tutti sull’attenti, da generale di ferro.

Se si vuole crescere bisogna cambiare mentalità, giocatori, presidente, direttori sportivi, tutti, tutti coloro che contribuiscono anche con un minimo cenno a definire e alimentare l’emisfero Roma, compreso un ambiente che vive dell’isteria del momento, positivo e negativo poco cambia, invece che della ricerca di una continuità.

Ieri sera Mister Spalletti ha illuminato la via del successo, passeggiando nervosamente con una lanterna che chiarisse a tutti quale sia la strada da percorrere, velocemente, ha scolpito, su immaginarie tavole della legge calcistiche, il decalogo dei VINCENTI, nella pancia di uno stadio che fischia una squadra che vince in casa 7-1 nell’ultimo turno di campionato, che rimprovera sonoramente fenomeni del calibro di Cristiano Ronaldo, che si alza in piedi ed offre a Francesco Totti la doverosa standing ovation che si deve alla carriera di un Campione assoluto, ultima bandiera di un calcio che fu.

Dimensioni lontane anni luce, generazioni di tifosi diverse, che vivono voracemente di vittorie, di trofei, di successi e non sopportano l’idea di perdere anche una sola partita; di fronte una realtà da troppo tempo abituata ad affannarsi nella ricerca di se stessi, dispersi nel labirinto del “vorrei ma non posso”.

E allora quando un condottiero come Spalletti, una mente illuminata così, parla indossando le pesanti vesti di Proprietario, Presidente, Direttore generale, Allenatore, Capitano di un gruppo, spalancando dinanzi ai tuoi occhi le porte del successo, tu ti fermi, ascolti e persuaso non puoi che esclamare “eccomi mister, sono con te andiamo”.

La serata di ieri determinerà un cambiamento e in un senso o nell’altro tutti i tesserati dell’As Roma dovranno fare una scelta: seguire chi vuole finalmente cambiare la storia di un club rimasto schiacciato dal peso di disfatte e tentativi mancati, oppure cadere nel fossato della mediocrità.

Spalletti merita una standing ovation, merita il supporto assoluto dell’ambiente e di chi lavora all’interno delle mura di Trigoria, ma soprattutto merita di ricevere pieni poteri da qui alle prossime vittorie, quelle vere, con le coppe alzate al cielo.

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