Lo scudetto ’83 costruito anche dal Divo Giulio

Lo scudetto ’83 costruito anche dal Divo Giulio

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giulio-andreottiCORRIERE DELLO SPORT – A. MAGLIE – Con l’orgoglio dell’appassionato «coerente», legato ai destini della squadra nel bene e nel male, senza tentennamenti o ripensamenti, diceva: «Sono tifoso della Roma da quando avevo otto anni perché prima non esisteva». Giulio Andreotti era per la squadra giallorossa un po’ quello che era l’Avvocato Agnelli per la Juve. Ma se il secondo ci metteva i quattrini (come pure una volta disse temerariamente il presidente del secondo scudetto, Dino Viola), il Senatore ci metteva solo l’amore, almeno così lui cercava di illustrare il suo rapporto con la squadra giallorossa. In realtà, la relazione era decisamente più complessa e la sua presenza in larga misura più incisiva di quel che lui voleva fare credere. Perché nei passaggi più delicati della vita del club, la sua ombra è sempre apparsa all’orizzonte, discreta, quasi mai invadente, ma in ogni caso decisiva. (…)

BIPARTISAN – Perché se il tifoso aveva nei confronti della Lazio un atteggiamento caratterizzato da gelida indifferenza, come leader estremamente radicato nella città che gli aveva dato i natali, nei momenti più difficili non esitava a intervenire per dare una soluzione ai problemi dei «cugini». Capitò, ad esempio, quando reclutò Renato Bocchi: la società navigava in perigliose acque finanziarie e urgeva l’intervento di un «salvatore». Bocchi interpretò il ruolo. Del tifoso romanista e romano, Andreotti aveva soprattutto le arguzie, le battute fulminanti e velenose. Come quando gli chiesero un commento sulla sentenza di secondo grado che, nella tempesta di Calciopoli, aveva riportato la Juventus in serie B: «La Juventus sarebbe stata meglio in C. Ma anche in B, per un vecchio tifoso come me, è un po’ la Rivoluzione Francese». (…)
NOSTALGIE – Il calcio degli ultimi anni non lo appassionava più tanto: troppo fisico. Cinque anni fa, intervenedo a Gr-Parlamento-La politica nel Pallone, svelò: «Quanto mi manca la Roma di Testaccio. C’era sempre calore e cattiveria, eravamo anche scontrosi. La squadra era tutto». Viveva a via dei Prefetti e i giocatori andavano a mangiare in una trattoria da quelle parti. E lui era lì, insieme ad altri ragazzini. Una storia non diversa da quella che raccontava l’Avvocato Agnelli che sfidava le ire paterne quando, invece di badare ai saluti sulle banchine della stazione, prestava tutte le sue attenzioni a Federico Munerati, talento di quella Juve pionieristica. La nostalgia di Andreotti riguardava i pali di Testaccio avventurosamente verniciati che lasciavano segni indelebili sui suoi pantaloni, alle partite viste dietro la porta perché «i soldi erano pochi ma per la Roma c’erano sempre». Gli piaceva il calcio tecnico e gli piaceva Totti perciò gli tirò le orecchie quando a fine Mondiale 2006 annunciò il ritiro dalla Nazionale: «Se ci rifletteva un po’ di più era meglio ma è tanto bravo e qualcosa gli si può perdonare». E al matrimonio del Capitano c’era anche lui. Ora Totti lo ricorda così: «Giallorosso come pochi, sono certo che continuerà a fare il tifo per noi anche dal cielo con la stessa passione di tutta una vita».

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